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KING OF NEW YORK regia di Abel Ferrara

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ULTRAVIOLENCE78     7½ / 10  16/05/2009 12:37:18Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Abel Ferrara e Nicholas St. John rappresentano il vano tentativo di redenzione di un anti-eroe che, appena uscito di prigione, ha in animo di far edificare un grande ospedale in una delle zone più degradate di New York. Le sue velleità umanitarie sono, però, puntualmente osteggiate da una serie di personaggi che, pur collocandosi in diverse sfere di azione (in quelle delinquenziali in narcotrafficanti, in quelle della giustizia i poliziotti), convergono (cfr. l’operazione di infiltraggio) fino a dare vita ad un’unica forza volta a neutralizzare la tensione al bene del gangster Frank White. Proprio da questa sorta di coalizione tra opposti schieramenti, la cui sinergia costituisce una trappola senza uscita per l’uomo da eliminare, viene fuori con estrema intensità l’immagine, avvolta da un opprimente aura di solitudine, del personaggio principale: un soggetto esternamente algido, ma che cova dentro di sé il bisogno spasmodico di emendarsi delle sue colpe. Egli è continuamente braccato sia dai “buoni” e che dai “cattivi”: e se inizialmente sembra avere la meglio, col prosieguo della narrazione emerge lentamente il ribaltamento dei “giochi di potere” fino alla metaforica fuga del finale, che sfocia e culmina in uno dei momenti cinematografici più alti in assoluto: il gangster ripreso solitario in un taxi che, mostrando la ferita mortale allo stomaco (inferta da quello stesso poliziotto che gli ha risparmiato), prende coscienza del suo fallimento, mentre esternamente si assiste a un brulicare di movimento (gli agenti della polizia che progressivamente si assiepano nei pressi del taxi), il cui effetto è quello di amplificare il senso di solitudine del protagonista: quest’ultimo colto, all’apice del momento conclusivo, con lo sguardo perso nel vuoto nell’attesa dell’imminente liberazione.
A questo finale si ispirerà Michael Mann per “Collateral”. Il faccia-a-faccia nella metropolitana, con cui termina il film, riconduce sempre, anche se in maniera più semplice e lineare, al vuoto che circonda il personaggio negativo della storia. Nel complesso “Collateral” è per certi aspetti superiore alla pellicola di Ferrara, soprattutto in virtù di una regia, di un montaggio e di una tecnica narrativa davvero superlative: ma quel finale, impreziosito dalla straordinaria e complessa intensità espressiva che Christopher Walken riesce infondere al personaggio, è qualcosa di unico.
ULTRAVIOLENCE78  17/05/2009 10:47:49Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ci sono un pò di refusi:
"in quelle delinquenziali in narcotrafficanti". Ovviamente è I narcotrafficanti.
"inferta da quello stesso poliziotto che gli ha risparmiato". "Gli" da leggere come EGLI.
"soprattutto in virtù di una regia, di un montaggio e di una tecnica narrativa davvero superlative". SUPERLATIVI.

Mannaggia a 'sta tastiera.
ULTRAVIOLENCE78  17/05/2009 13:57:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Anche "per certi aspetti" è da eliminare...