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IL CATTIVO TENENTE regia di Abel Ferrara

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ULTRAVIOLENCE78     8 / 10  28/08/2008 12:17:01 » Rispondi
Un’opera di un’amarezza sterminata ma al tempo stesso di estrema speranza. Al centro si pone la vicenda di un uomo abbandonato ai suoi vizi e alle sue debolezze brancolante nel buio della giungla metropolitana, tra l’ipocrisia e l’indifferenza altrui e sotto gli occhi di un Dio (apparentemente?) tacito. Ma anche il cattivo tenente, emblema del soggetto che non persegue nessuna etica non perché ontologicamente malvagio ma perché non ha la forza per farlo, ha la possibilità di redimersi: e questa possibilità gli è offerta non da un’illuminazione proveniente “dall’Alto” (Cristo è immobile e apatico di fronte al grido di disperazione del tenente che, accasciato al suolo della Chiesa, esprime tutto il suo dolore di uomo abbandonato a se stesso senza più fede) ma dal profondo comportamento misericordioso della suora il cui perdono si erge a estremo esempio di moralità quale unica via di salvezza per l’umanità. Così il tenente, toccato nelle corde più intime della propria anima, troverà il modo di riscattarsi ed espiare le proprie colpe nella “salvazione” di due “pecorelle smarrite”, sottraendole all’incombente minaccia del giustizialismo sociale.
Tra la blasfemia e momenti di sublime intensità, “Il cattivo Tenente” sembra muoversi nel solco di “Delitto e castigo”, mostrando come anche il più abietto degli uomini possa redimersi attraverso un atto (sia esso anche l’ultimo compiuto) di elevata carità, e poco importa se sia dettato dalla fede religiosa o, più semplicemente, dalla tensione al Bene. In questo modo, a tutti viene data la possibilità della salvezza, e il “castigo” riveniente dalle proprie cattive azioni si configura come una necessaria espressione di quella stessa salvezza.
Questo connubio tra pessimismo e speranza diventerà più rarefatto nel successivo “The Addiction”, dove prevarrà una visione più nichilista, in cui l’annientamento dell’altro si fa più forte dell’annientamento di sé, e in cui l’atto (ultimo) di fede sembra essere una scelta più obbligata che intimamente sentita.