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KUNDUN regia di Martin Scorsese

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kafka62     9 / 10  26/01/2018 16:43:09Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La storia dell'ultimo Dalai Lama, sostanzialmente fedele alla cronologia dei fatti e alla realtà politica degli anni che racconta (con tanto di Mao Tse-Tung che compare in una breve sequenza, identico all'iconografia ufficiale che ci è stata tramandata in Occidente), poteva essere l'ennesimo tentativo, tra biografia aneddotica (la seconda parte de L'ultimo imperatore), moda (Il piccolo Buddha) e folclore (Sette anni in Tibet), di rappresentare una realtà lontanissima dal punto di vista occidentale e proprio per questo ritenuta aprioristicamente affascinante. Lo stile potentemente visionario di Scorsese ha fatto invece di Kundun un film assai poco contemplativo, spiritualistico, zen (e quindi orientale) e molto invece ondivago, problematico, dialettico (e quindi occidentale). La macchina da presa di Scorsese avvolge i suggestivi rituali buddisti, i colori sgargianti di abiti e ambienti, gli splendidi paesaggi tibetani, con una sensibilità modernissima, rallenta le sequenze, le spezza, le dissolve, raddoppia i movimenti, moltiplica le angolazioni, filtra le immagini attraverso schermi e ottiene un risultato figurativamente all'altezza dei mandala che compaiono simbolicamente nel corso del film.
Kundun è un piccolo capolavoro di stile, che riesce a ottenere effetti di stupefacente e tragica bellezza, soprattutto nelle sue digressioni oniriche (la strage di monaci ripresa dal basso verso l'alto con un dolly mozzafiato, la premonitrice visione della morte dei compagni, i cui corpi sanguinanti giacciono riversi sui cavalli bianchi, l'angosciante invocazione di non morire rivolta nella tetra stanza alle persone del proprio passato). Il protagonista adulto, circondato da tutte queste immagini di morte, ha più le sembianze di un Amleto che si interroga perplesso sul suo ruolo e sui suoi compiti (come già il Cristo de L'ultima tentazione) che del carismatico capo spirituale di un popolo, allo stesso modo in cui della sua infanzia rimangono impresse le immagini dell'infantile curiosità con cui guarda, durante una seduta di meditazione, un topolino che beve l'acqua in una ciotola, assai più dei segni di soprannaturale saggezza che lo conducono a diventare il Buddha reincarnato. Come dire che il cinema ha compiuto ancora una volta il miracolo di raccontare il meraviglioso attraverso le piccole, impalpabili emozioni del quotidiano piuttosto che tramite la magniloquente grandiosità degli effetti speciali e delle ricostruzioni spettacolari da kolossal.