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ALIBI E SOSPETTI regia di Pascal Bonitzer

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Invia una mail all'autore del commento pompiere     4½ / 10  04/06/2010 19:37:57Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Procede abbastanza nella norma, tra le maglie e gli orditi del giallo classico spruzzato da una parvenza di “rosa sentimento”, il film tratto da “Il rifugio”, un adattamento teatrale del romanzo “Poirot e la salma”.
E, pur muovendo da una certa eleganza di scrittura e di personaggi raffinati immersi nel verde dei giardini, nell’acqua di piscine e sofferenti per relazioni extraconiugali che lasciano il segno, si perde dietro alle questioni sessuali e ai loro pruriti, disconoscendo i dettami del giallo e della suspense.

D’altronde, non siamo nelle mani di un Resnais, di uno Chabrol o di un Truffaut. Bonitzer fa quel che può, e lascia agli interpreti la gran parte del lavoro. Ma anch’essi vagano senza meta e fanno uscire dalla loro bocca battute sterili e poco interessanti, raccontando di una borghesia stanca e traditrice fatta di affetti illusori e baci perduti. Il risultato è senza brio ne’ appeal, il ritmo è monotono, serioso, statico. Il talento di Agatha Christie una chimera.

Al posto di Poirot, rimosso dalla scrittrice anche nella riduzione scenica, c’è un flic capellone bisunto e iroso, che manca di cellule grigie e bisognoso di antidolorifici a calmare un mal di testa dettato dal troppo (!) lavoro. Si reclama fortemente l’assenza del David Suchet televisivo che, pur non essendo eccelso, almeno conosce il mestiere.
Nella villa di campagna appena fuori Parigi, con 15 gradi centigradi, è divertente vedere come i personaggi passeggino nudi in casa, si spalmino di creme idratanti indossando vestitini leggeri, e facciano il bagno sotto le nubi e perfino di notte, con l’aria fredda a ghermire i loro fisici.

Léa Mantovani (Caterina Murino) ha un bel **** ma è doppiata male, con un accento improprio e grossolano: la sua “chiacchera” è una graduale sofferenza per le orecchie. Capricciosamente, la sceneggiatura dello stesso regista e di Jérôme Beaujour, descrive la paura e l’offesa degli interpreti nel sentire parole volgari che invece volano in maniera del tutto disinvolta.
Il risultato è straniante e poco amabile. A questo si aggiunga la recitazione superficiale (si salvano solo Lambert Wilson e Pierre Arditi) e poco appassionata da parte dell’intera troupe, e il delitto è servito.