caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

A TOUCH OF ZEN - LA FANCIULLA CAVALIERE ERRANTE regia di King Hu

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
kafka62     7½ / 10  18/02/2018 16:50:37Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Fin dalle primissime inquadrature (un inatteso prologo notturno in cui la camera si sofferma ad osservare, senza alcun motivo di ordine narrativo – più entomologicamente, direi, che simbolicamente – alcune tele di ragno, e che si apre all'improvviso, tra un vorticare di nuvole bianche, su un'alba luminosa e iridescente), "A touch of zen" rivela un'impressionante ricchezza visiva. King Hu sa esaltare le qualità intrinsecamente fotogeniche della natura e, con immagini tali da incantare anche il più smaliziato spettatore occidentale, ambienta in boschi di bambù attraversati da evanescenti fasci di luce, in lussureggianti radure al tramonto, in montagne aspre e solitarie, le pirotecniche avventure dei suoi personaggi. Quello di Hu è un cinema che, pur senza disdegnare gli interni e il décor artificiale, si sviluppa principalmente en plein air, in spazi aperti che dimostrano di essere i più congeniali alla raffinatissima sensibilità estetica del regista, alla mobilità della sua macchina da presa, alla libertà nella scelta della lunghezza dei campi (anche tramite l'uso di zoom) e, naturalmente, all'ambientazione dei caratteristici ed acrobatici combattimenti fatti di salti, voli e capriole aeree.
Film oscillante tra buddismo e Opera di Pechino, "A touch of zen" è figurativamente un capolavoro, ma lascia un po' a desiderare dal punto di vista della narrazione. Anzitutto, le tre ore in cui il film si sviluppa mi sembrano francamente troppe: non tanto per il suo ritmo lento e meditato, ché anzi proprio la sua lentezza, rotta contrappuntisticamente da fulminei e funambolici duelli in cui il montaggio si fa frenetico, è la qualità inconfondibile di un certo cinema orientale (che non può definirsi né esclusivamente intellettuale né meramente popolare), fatto tanto di momenti di riflessione e di intervalli sognanti quanto di rutilanti fiammate di azione e spettacolo. Il fatto è, invece, che l'intreccio, dopo essere stato a lungo (e felicemente) in bilico tra realtà e fantasia, naturale e soprannaturale, storia veridica e leggenda favolistica (con personaggi ambigui e misteriosi, suspense, e soprattutto quella lunga scena in cui il protagonista perlustra nottetempo la vecchia casa abbandonata), propende decisamente per una normalizzazione dello sviluppo narrativo e una razionalizzazione degli avvenimenti, dei quali per giunta l'autore si preoccupa di darci esaurienti informazioni (il lungo flash-back sulle cause della caduta in disgrazia della ragazza è, ad esempio, del tutto superfluo). La seconda parte, poi, risulta, se non proprio fiacca, sicuramente ripetitiva (un susseguirsi di duelli senza più emozioni o sorprese), e si conclude con una appendice fastidiosamente posticcia (il film poteva ben finire a mio avviso con Ku Sheng-chai che si allontana dal monastero con il bambino, ma c'è una mezz'ora di ulteriori combattimenti e colpi di scena che hanno il solo effetto di mettere inopinatamente ai margini i protagonisti della storia e di aggiungere una morale di stampo filosofico-religioso che definire imbarazzante suona quasi come un eufemismo). Tagliato di un'ora buona, mondato cioè delle sue parti più inopportune (il flash-back, il secondo finale, e alcune inutili scene di battaglia, che forse rappresentano il prezzo pagato per raggiungere una platea più vasta di spettatori), "A touch of zen" sarebbe un grandissimo film; così com'è invece risulta un'opera sì pregevole, ma anche un po' strana e diseguale, al tempo stesso affascinante e irritante, pletorica e leggera, che, se non altro, ha il pregio di contenere tutti quei temi i quali (dalla casa infestata dagli spiriti – anche se qui, con un'intenzione forse metacinematografica, la trovata dei fantasmi è un gioco razionale fatto di fantocci di cartapesta, catapulte e marchingegni vari – alla contrapposizione tra le sparute forze del Bene e le soverchianti forze del Male, dalla scelta di un eroe goffo e imbranato che si innamora senza speranza di una ragazza in pericolo di vita fino a quelle vere e proprie esibizioni ginnico-danzanti che sono i parossistici combattimenti con le spade) troveranno, nel decennio successivo, un fertile terreno di applicazione nelle pellicole dei registi della scuderia di Tsui Hark, specialmente in quello che è il suo vero film-manifesto, "Storie di fantasmi cinesi" di Ching Siu Tung.