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IO TI SALVERO' regia di Alfred Hitchcock

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amterme63     8 / 10  28/11/2008 23:27:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Con “Io ti salverò” Hitchcock dimostra di essersi così bene inserito nell’ambiente americano da provare a reintrodurre alcuni dei suoi cavalli di battaglia stilistici del periodo inglese. La struttura portante della storia è infatti quella tipica di tanti film inglesi: un presunto colpevole che cerca di scappare dalla polizia – superficialmente convinta della sua colpevolezza – e allo stesso tempo di mettersi sulle tracce del vero colpevole. In questa spasmodica ed emozionante corsa ad ostacoli è accompagnato da una donna, la quale sfida tutto e tutti – comprese proprie battaglie interiori – per dimostrarne l’innocenza, non mollando fino in fondo. Inoltre, come nei film inglese, fa ritorno il lato ironico come nella scena dell’importunatore col sigaro o quella con il controllore della stazione.
A differenza dei primi film però qui la storia è più complessa e raffinata e anche più coinvolgente (c’è più incertezza), entrando più addentro nei meandri della psiche umana. Quello di rappresentare personaggi nevrotici e contorti è un gusto tipicamente americano ed ecco che allora Hitchcock decide di utilizzare anche il mezzo psichico per stimolare la suspence e la partecipazione nello spettatore. L’approccio in questo caso è diretto: la storia è ambientata in una clinica psichiatrica e spesso nel film si discute dei fondamenti “scientifici” della psicologia. Io ho avuto l’impressione che Hitchcock fosse piuttosto scettico verso questa branca scientifica o almeno sui principi teorici e pratici su cui si fonda. Tutta la vicenda che gira intorno alla casa di cura è trattata con molta ironia. Prima di tutto sembra che i pazienti non vengano assolutamente curati ma che anzi peggiorino nelle loro manie (la prima scena con la ninfomane con risvolti comici, l’episodio di quello che crede di avere ucciso il padre e poi uccide davvero una persona). Poi viene fuori che chi deve curare è forse più malato di chi viene internato (vedi il direttore della clinica). Insomma, siamo tutti preda di manie e nessuno si salva. Evidentemente non sempre sapere qual è l’origine del proprio male porta automaticamente alla guarigione.
Quindi per Hitchcock la psicologia e la mania di interpretare i sogni è solo un mezzo come un altro per imbastire un film, qualcosa di nobile da usare per intrattenere e divertire. Se questo era il suo intento, bisogna dire che ci è riuscito perfettamente. Per tutto il film l’attenzione e la curiosità non mollano mai la presa. Si può allora anche perdonare il vizio hollywoodiano di far nascere l’amore fra due persone con un semplice sguardo, anche perché permette ad attrici come Ingrid Bergman di dimostrare la loro splendida arte recitativa, dando vita in pratica a due personaggi diversi: uno prima e uno dopo il colpo di fulmine; entrambi rappresentati in maniera divina, anche se assecondati dalla solita cinepresa complice. Gregory Peck invece non riesce a recitare il suo personaggio in maniera convincente, a parte qualche bel sorriso o tenero sguardo.
Il film annovera anche alcune scene girate e concepite in maniera splendida, ad esempio quella della bevuta del bicchiere di latte o quella famosissima della pistola, in cui lo spettatore si identifica emotivamente con la vista di un personaggio. Peccato invece per la scena della discesa in sci, la peggior scena mai girata da Hitchcock che ho visto fino ad ora.