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REBECCA, LA PRIMA MOGLIE regia di Alfred Hitchcock

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Godbluff2     8½ / 10  16/05/2022 14:24:12Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Debutto ad Hollywood per Hitchcock ed è subito un classico della sua filmografia e del cinema americano; quando si dice presentarsi col botto.
Hitchcock aveva già fatto diversi buoni/ottimi film in Inghilterra ma con "Rebecca" sale un ulteriore gradino e porta il suo cinema su un nuovo piano di maturità artistica, realizzando il suo miglior film fino a quel momento e che resterà uno dei migliori film da lui diretti negli anni '40 (prima di arrivare al decennio dei "grandi capolavori", 1954-1963).
Thriller-racconto gotico-fiaba nera-melodramma è la ricetta che compone "Rebecca", scritto con una struttura narrativa estremamente lineare e chiara (prologo- tre macro blocchi narrativi-epilogo con il film interamente ambientato in un flashback) che lascia la possibilità allo spettatore di assorbire ed essere assorbito completamente dalla straordinaria atmosfera del film, dalla tensione nata dagli sviluppi del racconto.
Il suggestivo prologo onirico già mette in chiaro quale sarà la splendida atmosfera nera che permeerà tutto il film, ma chiaramente la parte migliore di "Rebecca" è quella del "blocco centrale" ambientato a Manderley, dove mistero e angosce finalmente possono ammaliarci e avvilupparci definitivamente.
Se questa parte centrale è così efficace un gran merito lo hanno due personaggi molto particolari. Il primo personaggio (o "non-personaggio") è naturalmente Rebecca. Rebecca che non esiste (più) e che né noi né la protagonista vedremo mai, per ovvi motivi, ma la presenza della quale continua ad avvolgere e ad influenzare tutto, compresi i rapporti tra i personaggi, le loro azioni, la loro psiche. Più che le conseguenze delle sue passate azioni, o di ciò che era stata in vita, è la presenza stessa di Rebecca il motore di tutto il film. Rebecca non c'è ma è ovunque, è in ogni inquadratura, in ogni dettaglio, in ogni dialogo, in ogni ricordo, in ogni punto di Manderley. Abbiamo una protagonista costantemente schiacciata da questo "spettro" (in un film che è una ghost-story senza essere una ghost-story tra l'altro), da questo confronto che la vede risultare palesemente meno forte, meno importante, nonostante la sua presenza fisica e centrale nello spazio del film (che tuttavia è costantemente "occupato" da Rebecca) rispetto ad un personaggio che non è mai presente eppure la domina. Rebecca non c'è ma "esiste" ha un'identità, un nome che riecheggia nel tempo e nello spazio; la protagonista/seconda moglie è fisicamente presente ma è quasi come se non esistesse, è priva di identità, non ha nome. Una dialettica splendida che naturalmente si svilupperà e si modificherà nell'ultima parte del film e che è sapientemente scritta e messa in scena, esaltando entrambi i personaggi, quello che c'è e quello che non c'è, la donna senza nome e quella senza volto. Rebecca, in pratica, è uno dei migliori personaggi hitchcockiani e questo senza nemmeno esistere fisicamente nel film.
L'altro grande e particolare "personaggio" del film, direttamente collegato a quello di Rebecca, è Manderley stessa. La lussuosa villa è viva, pregna com'è della presenza di Rebecca. La base del "personaggio Manderley" è la sua splendida ricostruzione scenografic, ma a darle vita propria è naturalmente la grande abilità di Hitchcock alla mdp, affiancata da quella del direttore della fotografia, Georges Barnes (che lavorò con Hitchcock anche per "Spellbound" che guarda caso è l'altro più grande film dell'Hitchcock anni '40).
L'uso degli spazi è magistrale, le angolature delle inquadrature, la profondità, l'illuminazione, tutto contribuisce a rendere Manderley un'opprimente presenza che sembra divorare la povera protagonista. Manderley si rivela un punto di forza straordinario per l'atmosfera del film.
Questi "falsi" personaggi sono decisamente più efficaci del personaggio di Maxim, ad esempio (che non è un brutto personaggio intendiamoci, funziona bene ed è molto ben interpretato da Olivier) mentre arriva ad infastidirmi l'enorme remissività della sposina senza nome dell'ottima Joan Fontaine, un aspetto del personaggio però necessario alla dialettica con Rebecca e alla sua perfetta evoluzione e crescita nel corso del film, una maturazione che giungerà una volta raggiunto il climax della criticità emotiva. Sono tutti personaggi ottimamente tratteggiati.
Tuttavia a spiccare tra i personaggi "reali" è quello di un altro spettro, anche se fatto di carne e ossa: Mrs. Danvers, la raggelante governante fedelissima a Rebecca e alla sua memoria, un essere umano ormai intrappolato in un passato ectoplasmatico che si è ormai spinta oltre le soglie della follia. Ci sono alcune scene con lei protagonista che sono di gran lunga tra le più belle e potenti di "Rebecca" e non sono molti i personaggi hitchcockiani che riescono a trasmettere una tale quantità di disagio e inquietudine (Mrs. Danvers è un personaggio di impatto quasi assimilabile al Norman Bates che verrà). Prima gelida, impassibile e inespressiva, poi crudele, poi allucinata e persa nel suo mondo, il volto di ghiaccio e la compassata interpretazione di Judith Anderson sono indimenticabili.
E poi una storia che si evolve splendidamente nei suoi colpi di scena, nei suoi snodi e nelle sue rivelazioni, fino ad un finale irrimediabilmente apocalittico (con un lieto fine dal retrogusto molto amaro, di fatto) che ho apprezzato molto, cosa non scontata visto che a volte proprio i finali si sono rivelati i punti meno solidi dei film del maestro britannico.
Questo quasi-capolavoro di Hitchcock rimane ancora oggi uno dei suoi titoli più affascinanti e ammalianti, forse uno dei primissimi per la qualità dell'atmosfera trasmessa allo spettatore.