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FORTAPASC regia di Marco Risi

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Invia una mail all'autore del commento pompiere     7 / 10  28/07/2010 15:56:50Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Pur essendo ben interpretato da Libero De Rienzo, spontaneo e verosimile nei panni di Giancarlo Siani, e spalleggiato da attori quali Fantastichini e Mahieux, “Fortapàsc” manca di guizzi e segni distintivi. Come il finale che, precorso fin dall’incipit, non ha niente di memorabile o commovente.
Resta la nobiltà di un progetto utile a rivelare e commemorare la storia di chi, dandosi a un giornalismo puro ed esplorativo, ha combattuto per una società migliore contro la prepotenza e le tangenti, compresso tra intimidazioni, biasimi e freddezze. Un’ingenuità, legata indissolubilmente a quei tempi per certi versi ancora desiderosi di verità, che non esiste più. Chi sarebbe in grado oggi di arrivare a tanta virtù morale rinunciando alle amicizie dei politici?

L’agguato a suon di colpi di pistola durante la radiocronaca calcistica di Napoli-Verona, se da un lato mostra un aspetto spettacolare e un’ostentazione nella bravura della messa in scena, dall’altro cade su banalità quali la presenza della bambina (fin troppo annunciata nel suo destino “grazie” al pedinamento della telecamera) e l’uccisione di “Maradona” proprio nel momento del goal. La vis drammatica ne risente e la vicenda, più che tingersi di rosso, vira verso i colori dell’azzurro.
Il calcio sarebbe dovuto essere un elemento da cui prender le distanze, invece Risi ci cade un po’, forse per smarrimento, forse memore di un film proprio su Maradona. Dove il regista ci mette del suo è nella straniante e insolita scena del ceffone-fantasma, all’interno del bar: un modo atipico per descrivere il rifiuto di tutta la collettività e il disorientamento del protagonista.

La sceneggiatura collega resoconto e storia privata di un ragazzo che vive “dentro” Torre Annunziata, la cosiddetta Fortapàsc ribattezzata proprio da Siani, e lo fa non mantenendo sempre un equilibrio efficace. Interessante l’approfondimento del carattere del giornalista: spesso superficiale, scialbo, e impacciato. In una parola: umano.
Il film di Marco Risi a volte è fin troppo stilizzato, pulito, cesellato nei toni della fotografia tanto da sembrare posticcio. Visto che si tratta di vicende altamente drammatiche, e purtroppo vere, avrebbe meritato una maggiore “sozzura”, quel tanto che avrebbe contribuito a renderlo vagamente realistico (che ci sia lo zampino della Rai?). Quantomeno per rispetto degli ambienti scavati dal periodo post-terremoto.