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FRANKENSTEIN (1931) regia di James Whale

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Dom Cobb     6½ / 10  10/04/2018 00:27:58Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L'ossessionato scienziato Victor Frankenstein è ansioso di portare a termine il suo esperimento più ambizioso, ossia creare la vita stessa. Il prodotto delle sue fatiche, però, non si rivelerà esattamente quello che si immaginava...
Archiviato il Dracula di Browning, la Universal distribuisce il secondo tassello di ciò che in seguito diventerà nota come una delle più iconiche serie filmiche di questa prima epoca del cinema sonoro. Stavolta, le attenzioni sono rivolte al libro omonimo di Mary Shelley, che in quanto a popolarità non ha niente da invidiare al romanzo di Stoker; e per certi versi si può dire che questo adattamento di James Whale è diventato col tempo iconico quanto il materiale di partenza, se non ancora di più. Ma, proprio come era per Dracula, la popolarità del film non basta a renderlo un vero capolavoro, sebbene nel complesso risulti leggermente più riuscito.
Del suo non troppo illustre predecessore, questo Frankenstein condivide, bene o male, tutti i pregi: lo stile visivo rimane intrigante con ovvie influssi gotici che calzano a pennello, e il design del mostro titolare è ancora una volta l'elemento più memorabile, con l'interpretazione di Boris Karloff a rafforzarlo nel modo migliore. Non è una recitazione esagerata o patetica, ma sorprendentemente contenuta, piena di sottigliezze che rendono la figura del mostro più tragica che spaventosa; in questo aiuta anche la regia di Whale, che si concede qualche tocco personale qui e là che impreziosiscono il tutto.


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E la recitazione del cast in generale è un netto passo avanti, più naturale e meno forzata, anche se in alcuni punti gli attori si concedono qualche istrionismo di troppo che, al giorno d'oggi, fa sorridere più che altro.
A controbilanciare il tutto ci sono però dei difetti, che per lo più sono imputabili ai limiti del cinema di allora: per la maggior parte del tempo si ha la sensazione che il film ripercorra col pilota automatico i punti salienti del libro, con dei salti e dei tagli improvvisi che tolgono fluidità al racconto.


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A causa di ciò, i temi salienti tanto cari alla Shelley vengono a malapena accennati, e il finale avviene in maniera quanto mai sbrigativa, un marchio di fabbrica del cinema di quegli anni a quanto sembra. Inoltre, per quanto riguarda la tensione o l'orrore del racconto, si sente il peso degli anni: ciò che negli anni '30 veniva considerato così spaventoso da necessitare di un prologo in cui si avvertiva il pubblico, al giorno d'oggi fa a malapena battere ciglio.
In definitiva, però, si tratta comunque di un prodotto migliore del precedente adattamento horror di Browning, e un'esperienza leggermente più completa. I problemi permangono, ma in questo caso non offuscano del tutto ciò che di buono il film ha da offrire. Si capisce bene il motivo di tanto successo, anche senza essere un amante del genere.


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