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CHE - L'ARGENTINO regia di Steven Soderbergh

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     7 / 10  17/04/2009 19:06:12Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Tutto come previsto: è chiaro, un film destinato a deludere/dividere molti.
Niente incassi da box office, nessun clamore promozionale (beh insomma...), il Che di Sodelbergh è asettico, quasi metafisico, vagamente spirituale nel suo "cammin di vita". Il regista si comporta come se la figura del rivoluzionario fosse conosciuta ai più in tutte le sue glorie e vicissitudini.
Per questo chi si aspetta un tono elegiaco degno di un W Zapata (Kazan) o l'enfasi ideologica di un Ken Loach ("Terra e libertà") dovrà battere in ritirata.
Destinato a far uscire gli spettatori - affamati di gloria lordata - a testa bassa (magari preoccupati di dover resistere altre due ore per la seconda parte in programmazione fra qualche settimana) e per questo forse merita un plauso.

Non incondizionato, forse: magari qualcuno lo rivaluterà fra trent'anni, come ha fatto col Messia di Rossellini (e il paragone non mi sembra affatto azzardato anzi) ma adesso...
Adesso a Benicio Del Toro è chiesto di "vestire" il Che, non di "recitarlo": quindi la denutrizione culturale del personaggio sembra impregnarsi di amarezza, come se davvero i nostri (ex?) eroi di un tempo non abbiano più una vasta eco di risonanza davanti alla resa dominante e passiva del mondo attuale.
Interessante, perchè nella cronistoria documentata - a dirla tutta piuttosto didascalica - c'è il bisogno del cinema di diventare anche "letteratura visiva".

E le immagini che scorrono, così fredde e pacate malgrado la drammaticità delle vicende, hanno i cromatismi delle divise militari, o l'uso sperimentale del b/n quando il Che si trova davanti ai nemici storici del Comunismo e della Rivoluzione.
Cupo, opprimente, il film lascia lo spettatore a interrogarsi sulle parole (più o meno "le ragioni della rivoluzione non sono efficaci se si mostra come se dovessimo sapere già tutto", guardacaso - oppure "un popolo che non sa leggere nè scrivere è un popolo facile da ingannare"), dell'uomo, denutrendo il Che iconografico conosciuto da tutti (tutti?) o per meglio dire che crediamo tutti di conoscere.

Strano regista, Sodelbergh: detiene un primato odioso (un potere produttivo che fa gola a molti) e passa dal mainstream a operazioni coraggiose tipo "Bubble"... "Che" è poi un caso a parte, così difficile da giudicare e inquadrare... ma è anche chiaro che il Che di S. appartiene al suo cinema più di quanto si pensi.

A me ha discretamente annoiato, lo ammetto, ma l'ho accolto provando a destarmi dalla passività avvinto da almeno un paio di bellissime sequenze (la condanna dei "traditori" e lo scontro del Che con le delegazioni dei governi sudamericani).

Insomma, tecnicamente potrebbe essere superbo: ma per uno come me che ha trovato tediose anche le tre ore di Jfk e la sua ossessione morale, che altro dire? Diamo a Sodelbergh il merito di non essere Oliver Stone?
The Gaunt  17/04/2009 23:44:34Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Effettivamente l'ultima domanda è un bel dilemma...
Rand  19/04/2009 22:26:41Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
infatti, Sodembergh padroneggia quasi ogni stile, cercando l'essenza non il commercio duro e puro...