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CHE - L'ARGENTINO regia di Steven Soderbergh

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Invia una mail all'autore del commento pompiere     6½ / 10  16/04/2009 11:03:02Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Tra crisi di asma, reclutamenti, fucili dispensati con disinvoltura ai giovani (“Abbine cura come fosse la tua fidanzata” richiamando, si spera involontariamente, alcune tipiche espressioni yankee durante la guerra del Vietnam), esaltazione dello spirito di gruppo, formazione di colonne di combattimento, il “Che” di Soderbergh inizia così, senza variazioni, senza sussulti per almeno tre quarti d’ora di pellicola. Viene subito il dubbio su una “resistenza” alla lunga distanza…
Non so se la scelta di far scrivere la sceneggiatura a Peter Buchman, di solito impegnato in progetti meno gravosi quali “Jurassic Park 3” ed “Eragon”, sia stata così felice: il livello di introspezione, infatti, è quasi ai minimi.
Era necessario farci assistere a ogni singola azione di guerriglia cittadina? Alle sparatorie, ai confronti con la polizia? Questi elementi sono forse troppo dettagliati, sofferti emotivamente (la dura realtà che si para innanzi ai progetti fino ad allora teorici della ribellione) ma meno cinematograficamente.

E’ un film su un rivoluzionario che di rivoluzionario ha ben poco. Se l’intenzione di Soderbergh, il quale si conferma un ottimo direttore della fotografia, era quella di fare un film non di cassetta avrebbe potuto richiamare i toni ben più ispirati di una pellicola come “Bubble”, per esempio. Forse hanno inciso anche i rigorosi 40 giorni di riprese durante i quali il film è stato realizzato.
Il regista sembra essersi fatto prendere dal capriccio di intiepidire il contenuto lasciando troppo spazio a un raziocinio che mal si sposa con il carattere attivista del personaggio principale.

Un punto a suo favore, comunque, è rappresentato dal continuo rincorrersi e sovrapporsi di piani temporali differenti con i quali il film decide di raccontare la vita del Che: si passa dall’incontro con Fidel Castro all’avanzata nella giungla cubana, dal ’55 al ’58, fino ad approdare al periodo newyorkese (girato in bianco e nero), alla fine del 1964, quando Guevara tenne un discorso all’assemblea generale delle Nazioni Unite. L’uso del montaggio è decisamente accattivante e riuscito, soprattutto durante le interviste rilasciate ai giornalisti americani e il discorso all’Onu: in questa fase si sovrappongono le parole alle immagini della guerriglia, come a voler comprovare il legame tra il “Guevara-pensiero” e il “Guevara-pratico”.

Benicio Del Toro si è affidato troppo al trucco-parrucco; capelli lunghi, sporchi e disordinati, un basco sulla testa e l’immancabile sigaro cubano (alla faccia dell’asma!) conficcato tra i denti, non riesce a farci percepire la benchè minima espressività. L’imitazione ancora una volta, però, è bastata a elargire riconoscimenti e a ottenere approvazioni. Non aiuta ad esaltare la figura di Del Toro la mdp troppo lontana dal suo volto: il Che è spesso ripreso di spalle o di sghembo.

Questa prima parte termina con un taglio troppo improvviso, come se avessero scelto di dividere la pellicola in due facendo uso di un’accetta. A questo punto devo confessare che non avverto tutta quella trepidazione sufficiente a far crescere l’attesa per la prossima uscita, a maggio, del seguito intitolato “Che – Guerriglia”. Staremo a vedere, in quel periodo esce pure il film su “Wolverine”…