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FUNNY GAMES (1998) regia di Michael Haneke

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Marco Iafrate     9 / 10  19/03/2013 19:02:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il titolo racchiude l'agghiacciante messaggio che Haneke, con questo straordinario film, vuole trasmettere agli spettatori: La violenza e la morte possono essere perpetrate anche attraverso il divertimento e il gioco.
Già dalle prime sequenze, con l'inquadratura dall'alto dell'automobile che viaggia tra boschi e laghi di un colorato paesaggio di campagna, si respira qualcosa che somiglia più all'orrore che alla serenità di una gita. All'interno del veicolo prende posto una famiglia borghese (lo si evince dalla barca rimorchiata), marito, moglie e figlioletto, stanno ascoltando musica classica, l'improvviso stacco con un brano Heavy metal non fa presagire nulla di buono, qui inizia il film.
Ogni volta che ci viene mostrato un quadretto iniziale idilliaco (in questo caso abbiamo l'allegra famigliola in vacanza, la villetta tra i boschi sul lago,la barca, le mazze da golf e il cane al seguito) implacabile arriva l'elemento distruttivo, sotto qualsiasi forma.
Haneke sfrutta lo stereotipo della famiglia ricca e felice che inesorabilmente deve risultare antipatica, gioca sul sentimento dell'invidia e sul riscatto sociale, mette in evidenza le debolezze della borghesia impreparata all'abietto sapore della violenza.
Il bambino (figlio della coppia) gioca un ruolo fondamentale nella drammatica storia, costringe noi spettatori a porci delle domande: Come è possibile che due genitori possano subire inermi la spirale di violenza alla quale è sottoposto anche il figlioletto senza dare sfogo all'istinto paterno/materno? Soprattutto il padre sembra rassegnarsi immediatamente al destino che si sta delineando, ed anche la madre si svuota completamente delle forze necessarie ad una qualsiasi reazione, d'altra parte appare subito chiaro che i due "drughi" all'interno del gioco stanno facendo le cose sul serio.
Seduti comodamente ad una poltrona, coinvolti nel terribile martirio a cui sono costretti i poveri malcapitati, siamo invitati a sentenziare, è la straordinaria, angosciante, bellezza di questo film. Il regista fa rivolgere uno dei due carnefici verso la telecamera facendogli dire: "voi state dalla loro parte, no?" Sì, noi stiamo dalla loro parte, quella del più debole, quella in cui, presumibilmente, ci potremmo trovare noi, potenziali vittime della violenza immotivata che non fa selezione, sceglie a caso, basta trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato, in quale modo poi contrasteremmo a ciò, è impossibile dirlo, i film sono pieni zeppi di eroi, siamo cresciuti con loro, la realtà purtroppo è un'altra e Haneke cerca di mostrarcela brutalmente, senza lieto fine, ma soprattutto senza magici capovolgimenti di fronte (magnifica la scena del rewind), consolatori ed appaganti. Gli oggetti per cambiare le carte in tavola ci sono ( fucile, coltelli, mazze) ma c'è anche l'impossibilità di usufruirne, trasmettendo a noi spettatori un senso di impotenza mai provato prima.
L'escalation di violenza psicologica è la perla del film, costringe alla sottomissione la donna (fin lì paziente e gentile ma sicura di sé con l'imprevisto ospite) e costringe alla reazione l'uomo (lo schiaffo) condannando di fatto la famiglia all'atroce destino.
I momenti più brutali della storia non ci vengono mostrati, scelta ineccepibile, non è un horror, ma è incredibile la capacità di farci concentrare su quello che sta accadendo di là, nel salone, da dove ci giungono solo i rumori, mentre osserviamo le immagini che scorrono su uno dei carnefici alla ricerca di qualcosa da mangiare nel frigo della cucina. E' angoscia allo stato puro.
Inutile soffermarmi su quella che, a mio parere, è la scena più devastante del film, quel piano sequenza interminabile sul corpo inginocchiato della donna, pietrificato, annullato dagli accadimenti. Una sospensione del tempo, un abbraccio silenzioso del destino. Un velo agghiacciante.