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EVA (1962) regia di Joseph Losey

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amterme63     7 / 10  19/04/2009 23:27:13Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Losey ci mostra una storia di significato esistenzialista con uno stile fin troppo freddo e distaccato. Il punto di forza del film è la tecnica di ripresa. Seguendo la strada indicata da Orson Welles, Losey affida molto del suo messaggio allo stile. Ogni inquadratura, ogni movimento di macchina, ogni oggetto inquadrato è studiato nei minimi dettagli. La mano del regista si vede in pratica ovunque. Non è però come in Dreyer, dove tutti i movimenti di macchina e le inquadrature sembrano naturalissime e ogni oggetto parla e comunica. Qui, come in Orson Welles, diventa come una specie di gioco che colpisce e sorprende. L’immagine è continuamente variata di punto di vista; ci si muove spesso in circolo o in diagonale o a spirale. Di frequente l’immagine è prima ripresa da uno specchio e poi interviene l’attore in persona e quindi l’altro personaggio; tutto questo con continue carrellate o piani sequenza. Questo per suggerire l’apparenza e la varietà del reale e la mancanza di un punto di riferimento fisso.
C’è un uso frequente di simbolismi. Spesso appare una maschera veneziana di carnevale, a simboleggiare la recita che uno fa della vita. Un ruolo importantissimo ce l’ha la scenografia e soprattutto i luoghi esterni in cui il film è stato girato. E’ uno dei film dove meglio viene filmata la città di Venezia, con un suggestivo bianco nero e un’atmosfera spesso brumosa e invernale. Anche Roma viene raffigurata con questa atmosfera, mettendo in risalto il contrasto nuovo-vecchio tipico dell’epoca. Infine c’è lo splendido paesaggio di Torcello. Tutti questi luoghi fanno però da semplice sfondo o cornice alla storia; sembrano infatti città senza abitanti o comunque spettatori passivi della storia che si svolge.
Al di là del grande lavoro artistico, c’è come la sensazione che l’interiorità e le ragioni dei personaggi rimangano come inespressi.
Il tema del film è la fatuità delle ragioni del vivere umano. Un famoso scrittore inglese vive in un ambiente mondano che ricorda vagamente quello della Dolce Vita felliniana. Ama (?) una dolce donna (la bravissima Virna Lisi – la migliore attrice del film), ma improvvisamente (troppo improvvisamente) viene irretito da una donna dal comportamento superiore e distruttivo. Il personaggio di Eva è quello centrale, ma Jeanne Moreau, secondo me, non riesce a dargli nessun alone di conturbanza o di maledizione. Almeno io ho stentato a capire come possa nel film far perdere la testa a così tanti uomini. Certo la Moreau è brava a creare questo personaggio cinico, distaccato, distruttivo, mostrante ogni tanto mostra qualche crepa interiore. Però, sia la sua che la recitazione dell’attore che impersona Tyvian, mancano di pathos. Probabilmente si tratta di una direttiva voluta da Losey, per distaccare lo spettatore dai personaggi e dalla storia e farla giudicare spassionatamente. Solo che così spesso sfuggono le ragioni degli atti e delle decisioni. Forse si vuole mettere in risalto che la volontà non conta, che siamo solo schiavi di istinti inspiegabili o del cieco destino. In realtà si ha come l’impressione che ogni cosa venga affidata al caso e non è una piacevole sensazione. Altri film con tematiche simili colpiscono molto più a fondo lo spettatore e rimangono più impressi (ad esempio “Peccatori in blue jeans” di Carné). Qui il voluto distacco da ciò che viene rappresentato, non si traduce sempre in oggettività di giudizio, ma spesso in distrazione e noia.
Questi ovviamente sono solo i miei personali giudizi. Solo un modo fra i tanti di vedere quest’opera.