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LA FINESTRA SUL CORTILE regia di Alfred Hitchcock

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amterme63     8½ / 10  23/01/2009 23:44:22Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Quante sorprese riserva la normalità e la vita di tutti i giorni! E’ possibile che il mondo dei thriller, dei romanzi gialli, non sia poi un mondo così fantastico? Può essere che le cose più banali e quotidiane possano nascondere storie singolari ed eccezionali? Per Hitchcock sì. Non c’è bisogno di inventare grandi avventure, persone affascinanti e fuori del comune o luoghi esotici. La suspence, il sospetto, l’orribile, la curiosità morbosa si possono tirare fuori pure da un modesto cortile condominiale del Greenwich Village di New York; come dire dell’Isolotto a Firenze, di Trastevere a Roma o di Baggio a Milano. E’ questa la piccola rivoluzione di “La finestra sul cortile”: portare il thriller nella prosaica realtà.
Inoltre Hitchcok vuole suggerire anche in questo film la presenza di istinti e abitudini poco nobili dietro il vivere perbene e ordinato di tutti i giorni. Il vizio “riprovevole” del voyerismo nasconde in realtà una pulsione connaturata all’essere umano, quella di non farsi i fatti propri, quella di desiderare vedere o assistere a ciò che ufficialmente si rifiuta o si condanna. Del resto andare al cinema serve anche a sfogare gli istinti o i desideri repressi di violenza e sesso. Ce ne dà un’esempio James Stewart che nel film rappresenta un po’ la persona comune. Per sconfiggere la noia e la monotonia trasforma la finestra di casa in una specie di schermo cinematografico, creandosi interessi che riempiano il vuoto delle lunghe giornate e delle nottate. Guarda una ragazza semisvestita che agita il sedere come in genere si guarda un film osé; elabora certe vicende (cuore solitario, il maestro di musica) in maniera quasi romanzata, oppure interpreta le stranezze di un signore come gli atti di un feroce assassino. In altre parole usa il mondo della fantasia cinematografica per interpretare il mondo reale. I fatti alla fine gli danno ragione ed è in definitiva ciò che sottilmente Hitchcock cerca di farci capire in tutti i suoi film. Altro che chiacchiere di società, altro che fantasie di film o romanzi, sono vicende molto più reali e quotidiane di quanto pensiamo.
Hitchcock come al solito dedica una cura estrema nella realizzazione di ciò che ha in testa e bisogna dire che il risultato è molto convincente. Il mondo ricreato è decisamente realistico e proprio per questo colpisce e meraviglia lo spettatore, il quale non si aspetta di vedere una tale varietà e vivacità di cose comuni dentro un film. Lo svolgimento del film è centrato unicamente su di un punto di vista (quello di James Stewart) e quindi quello che conta è ciò che il protagonista vede e percepisce (e che non vede e percepisce). Tutto è focalizzato sui suoi meccanismi mentali e di conseguenza su quelli comuni a tutti. Il formarsi e lo svolgersi di fantasie, rappresentazioni, ossessioni e il loro rapporto con il reale: ecco quello che conta per Hitchcock.
Si tratta comunque di un approccio astratto e “a priori” e questa attenzione quasi esclusiva ai meccanismi si fa un po’ sentire nel film. Ad esempio vengono messe quasi totalmente in secondo piano le ragioni del delitto (basta che ci sia UN delitto) e tra l’altro il suo svolgimento conserva molti punti oscuri. Il rapporto amoroso fra James Stewart e Grace Kelly è francamente poco comprensibile. Si fa fatica a comprendere come due persone del genere possano essere innamorate l’uno dell’altra. Cos’è che li attira reciprocamente? Il sesso? Non è proprio il forte di Hitchcock la descrizione delle passioni amorose. Qui conta più che altro la bellezza e la brillantezza del personaggio interpretato da Grace Kelly (veramente brava), il ruolo più che il personaggio in carne e ossa. Lo stesso dicasi per gli altri personaggi. Solo con Psycho entrerà a pieno titolo nei film di Hitchcock anche la parte più profonda dell’animo dei personaggi.
Nonostante questi punti deboli rimane pur sempre un film affascinante e coinvolgente, uno dei più belli degli anni ’50.