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QUESTIONE DI CUORE regia di Francesca Archibugi

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amterme63     7 / 10  03/08/2009 16:11:31Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Da quando ho visto “Le fate ignoranti” di Ozpetek, mi sono sempre chiesto se a Roma si viva realmente in gruppo, aiutandosi a vicenda. Come gli altri film di Ozpetek, anche questo propone un modello di vita che va al di là del nucleo di famiglia tradizionale e che ingloba altre persone sulla semplice base della solidarietà, indifferenti alle varie provenienze geografiche o tendenze sessuali.
In questo caso si cerca di cerca di “sdoganare” l’amicizia maschile, la comunanza profonda di confidenza intima e apertura interiore che un uomo può trovare solo insieme ad un altro uomo. L’esigenza è tutta spirituale, perché il piacere fisico i due uomini lo possono trovare spontaneamente solo con le donne. Questo non toglie che il rapporto sia profondo come un rapporto amoroso, se non di più. Lo dimostra il fatto che il meccanico trovandosi in esigenza di affidare la propria vita a qualcuno, lo fa con l’altro uomo e non con la moglie (a cui comunque vuole sempre bene). Il fatto che sia un complemento dell’affettività maschile e della vita familiare viene per fortuna capito sia dalla moglie che dai figli.
Questa caratteristica di “comprensione” istintiva è comune a molta cinematografia italiana contemporanea e sembra voler indicare l’esistenza (o il desiderio di esistenza) di un’umanità italiana aperta che non sia preda di pregiudizi o paure. Da Pieraccioni in poi i difetti congeniti degli italiani (evasioni fiscali, furberie, attaccamento alle abitudini) vengono trattati in maniera accondiscendente, quasi simpatica (questo è l’italiano tipico) senza il mordente sarcasmo grottesco di altri (tipo Monicelli o Villaggio). Lo sfondo sociale e politico rimane solo ed esclusivamente sfondo, mentre i legami di amicizia e solidarietà in piccolo diventano la cosa che conta di più. Tutto è trattato come se fosse una specie di “aurea mediocritas”, da elevare a modello di vita o desiderio che diventi modello di vita. Il Piccolo come alternativa al fallimento del Grande.
Questo film non fa eccezione. I due protagonisti sono dei modesti, attivi e mentalmente aperti italiani, come se ne vedono tanti nei film di genere. Hanno i loro piccoli grandi problemi ma dietro di loro c’è comunque tutta una comunità pronta a sostenerli. Questo piccolo quadro idilliaco non deve, non può essere turbato dai problemi comuni dell’Italia di oggi. In una scena un gruppo di giovinastri teste-rasate vuole picchiare un ragazzo in motorino; il commento del protagonista è: “non t’impiccià”, come dire: lascia che nel mondo reale si scannino, teniamoci stretti e tranquilli nel nostro piccolo mondo positivo.
In un’altra scena tentano di picchiare il piccolo ragazzo negro aiutante del meccanico (trattato schematicamente come un novello Zio Tom, con il bugigattolo al posto della capanna) ma desistono come se avessero voluto scherzare, come dire, sono dei giovani che non fanno male e si vogliono solo un po’ divertire con i luoghi comuni (il disprezzo per i negri).
A parte queste caratteristiche che fanno un po’ parte dello “spirito” del tempo che viviamo, il film è molto carino, divertente, ben fatto e trasmette bene il proprio messaggio. Non ci si annoia a guardarlo.