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QUESTIONE DI CUORE regia di Francesca Archibugi

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     7 / 10  22/04/2009 19:41:15Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
L'intellettuale misantropo e il belloccio infantile e bamboccione (più o meno "Sideways"), uniti dallo stesso percorso di vita o di morte ("Non è mai troppo tardi"), o anche l'amico che teme per la sua vita ed è pronto a consegnare la consorte nelle sue mani (si ribaltano i codici d'identità sessuale ma è lo stesso tema di "La mia vita senza me" di Isabel Coixet).

Sulla carta, il film della Archibugi non è certamente un miracolo di inventiva e di originalità, anzi furbescamente si inserisce nel respiro universale del melodramma agrodolce, nella "genetica" di un certo cinema (potrebbe essere un successo negli States, se godesse di una diffusione oltreoceano).

Eppure l'alchimia tra Albanese e Stuart, un pò i Tognazzi e Manfredi della nostra generazione (senza peraltro sfigurare con simili modelli) è assolutamente perfetta: va ben oltre la convenzionalità di un soggetto affrontato fra l'altro col giusto "discanto" senza il buonismo tipico di certe operazioni.

Credo che la regista provi un certo interesse a rivelare la duplicità (il lato più oscuro e quello più solare) delle persone, ma il punto di forza del film è costituito dall'ossessiva panoramica "domestica" della mdp (alloggio, locazione, ma anche rifugio umano e affettivo) che mi ha ricordato, inversamente, il terremoto abruzzese: guardacaso, la Archibugi ha al suo attivo un film su un altro celebre terremoto italiano.
Ci si specchia nel dolore, nella banalità di un titolo francamente odioso e ammiccante (come certe fiction...) pensando che la dimora, come riserva di sentimenti e mondi privati, è tutto (Angelo che "colleziona" habitat di cemento in modo diciamo ... spregiudicato).

Poi davanti a un ragazzino invitato a "leggere i passanti" persino l'eco (involontario suppongo) del piccolo cinese di Edward Yang (il bellissimo "Yi Yi", tre ore di moderno capolavoro) e non a caso territorio di una "visione alterna" sprigionata dalla malattia di un membro di famiglia (in quel caso la nonna).

"Questione di cuore" alterna così l'aritmia ereditaria con quella dello spettatore, vinto dalla complicità con cui la regista plasma il soggetto nella consapevolezza, magari anche ovvia e banale, che "tutto ricomincia".
Un regista francese avrebbe usato maggior profondità, ma il film colpisce quanto basta per rimanere nella memoria