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GRAN TORINO regia di Clint Eastwood

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Light-Alex     9 / 10  19/01/2014 11:33:43Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Eastwood regista è una garanzia quasi sempre. E qui si conferma.
Una sensibilità innata che riesce a rendere partecipe lo spettatore del dolore e della sofferenza della storia.

Uno sguardo onesto, serio ed anche ruvido sulle difficoltà di un'America, ma alla fine di un mondo, sempre più globalizzato, ma sempre più chiuso in sè stesso, dove micromondi, microcomunità si fanno la guerra vivendo nello stesso paese ma di fatto ricreando nella loro casa e nella loro comunità una replica del loro paese natio estraniandosi dalla realtà del paese che li ospita.

E' il problema dell'immigrazione quello che tratta Eastwood, un problema vecchio come la scoperta dell'America o probabilmente ancora più datato. Forse i primi emigranti furono gli schiavi africani nelle colonie romane.
Una storia del genere potrebbe essere avvenuta nell'antica Roma, come in un sud America coloniale, come in un'America schiavista, come in una Francia coloniale, come negli USA contemporanei.
I secoli passano ma l'uomo pare non averne tratto insegnamento. E Eastwood ce lo ricorda. Lo fa tramite il più classico degli americani razzisti e xenofobi. Ma come in tutte le storie sorprendenti anche in questa appare sin da subito che dietro quella maschera da burbero intollerante c'è un uomo che ha sofferto enormemente. Un uomo che ha dovuto rispondere a degli ordini che lo hanno posto davanti a scelte durissime, vivere o uccidere, scelte che hanno per sempre incrinato il suo cuore e la sua anima.
E' un uomo che ha anche amato, amato nel modo più sincero che una persona possa fare, ma che dentro di sè soffre e si consuma. Ed il tutto si palesa con una malattia dei polmoni che sa molto di animo avvelenato dai dolori, di corpo che sta decadendo per la troppa amarezza accumulata negli anni.

Dietro le maschere c'è sempre molto di più di quello che si potrebbe pensare. Non lo vedono i figli di Walt Kowalsky (il protagonista interpretato da Eastwood stesso) ma lo vede una piccola famiglia di immigrati asiatici, con cui dopo l'iniziale diffidenza l'uomo comincia a fraternizzare fino a diventare il protettore, il mentore, il nonno e il padre di questi ragazzi. Fino alla scelta finale che lascia tutti di sorpresa, l'insegnamento ultimo per chi non avesse ancora capito veramente chi c'era dietro la maschera del vecchio americano razzista.

Magistrale, commovente, profondo e coinvolgente.
Con alcune scene densamente simboliche che non passano inosservate (la vera confessione è quella che Eastwood fa a Thao che si contrappone brutalmente alla finta confessione fatta al prete e li si capisce che piega prenderà il finale...)
Torok_Troll  19/01/2014 14:04:47Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Forse i primi emigranti furono gli schiavi africani nelle colonie romane.
Una storia del genere potrebbe essere avvenuta nell'antica Roma"
E questa balla da dove salta fuori? Dal National Jewgapich?
Schiavio africani (che tu probalimente associ subito a popolazioni negroidi, ma spero di no) che dalle colonie romane sono emigrati in massa a Roma... improbabile, per non dire impossibile! All'epoca di Roma il massimo dello "straniero" con cui si era a contatto nelle province, diciamo, "romanizzate" erano popolazioni etrusche, celtiche, italiche e germaniche. Quei popoli altrimenti detti "barbari" (nel senso di non - romani e che non parlavano latino come prima lingua)
In NORD - Africa il massimo delle popolazioni straniere che i Romani conobbero furono: egizi, cartaginesi, berberi e qualche altra sotto - etnia di quei luoghi. Ma di negroidi praticamente neanche l'ombra (a parte qualche schiavetto - ventilatore, alla corte di persone nobili ed altolocate)
Light-Alex  21/04/2014 23:56:04Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Mha guarda nelle sole guerre puniche vennero fatti 50000 prigionieri nel nord africa. Schiavi africani ce ne erano nell'antica Roma. E di negroidi hai parlato tu, non certo io.
Comunque segui il concetto del mio discorso. Parlavo di gruppi di persone emigrate o, nel caso degli schiavi, costrette ad emigrare. E del loro rapporto con le popolazione del paese dove giungono. Che è il tema del film.
Torok_Troll  26/07/2014 14:31:58Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Gia, però tu non conti il fatto che 1) i nordafricani di allora non erano quelli di oggi, erano praticamente bianchi essendo popolazioni cartaginesi, berberi ed egiziani antichi, e non il crogiolo di maricchini e magrebini imbastarditi e che rompono le palle nella NOSTRA Europa! 2) di quei 50000 molti saranno anche morti e venduti as altri imperi 3) non gli era certo concesso di sposarsi ed avere famiglia con i cittadini dell'impero, in quanto schiavi, gli era concesso scopare ma non procreare (a meno che non fosse tra di loro).
Light-Alex  29/07/2014 12:49:09Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Si va bene tutto... ma ti ripeto il mio messaggio non faceva minimamente riferimento al colore della pelle. Parlavo solo dell'esistenza di schiavi africani nell'antica Roma. Esistevano. Punto.
Poi della loro etnia, del loro destino, o di quanto era concesso loro è tutto un'altro discorso in cui non voglio nemmeno addentrarmi perchè non prettamente attinente con questo film