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L'UOMO CHE NON C'ERA regia di Joel Coen, Ethan Coen

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kafka62     8 / 10  28/02/2018 08:20:09Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Quello che non si potrà mai dire del cinema dei fratelli Coen è che esso sia un cinema prevedibile e scontato. Anche quando, come ne "L'uomo che non c'era", sembrano ricalcare con minuzioso spirito filologico i film "noir" degli anni '40, nelle ambientazioni, nelle luci e perfino nella figura così bogartiana di Billy Bob Thornton (sigaretta perennemente accesa e volto impassibile e segnato dalla vita), i Coen a poco a poco se ne distaccano, rendendo il bianco e nero più astratto e meno naturalistico (la stanza della sedia elettrica), la fotografia espressionista anziché morbidamente chiaroscurata (il monologo dell'avvocato nella cella della moglie di Ed), gli ambienti onirici piuttosto che realistici (il sogno finale all'interno del carcere) e, soprattutto, il personaggio di Ed Crane un anti-eroe incapace di controllare minimamente l'ingranaggio che ingenuamente mette in moto, ben lontano dalla spavalda sicurezza da avventuriero del protagonista di "Casablanca" e più simile invece alla catatonica passività dello "Straniero" di Camus. Perfino nella costruzione classica della storia (con gli immancabili intrighi, omicidi e colpi di scena) i due fratelli americani introducono divagazioni che poco o nulla hanno a che fare con essa (riflessioni filosofiche, digressioni esistenzialiste, una arringa difensiva basata sul principio di indeterminazione di Heisenberg), fino a trasformare un plot giallo dapprima in un'avventura stile "Lolita" (l'infatuazione di Ed per la giovane pianista) e infine nel racconto romanzesco di un'esistenza che, giunta al capolinea, tira le somme e fa i conti con il passato.
Eppure tutto ciò, lungi dal nuocere alla coerenza interna del film, ne esalta l'esuberante originalità, la vitalistica freschezza, l'affascinante capacità di sorprendere ad ogni sequenza, senza mai che si sappia dove i suoi autori vogliano andare a parare (e viene da pensare che il cinema dei Coen sia come il labirinto di cui parla il protagonista nelle sue memorie, che bisogna allontanarsi da esso e guardarlo nella sua globalità per riuscire ad afferrarne il disegno complessivo). Quello che allo spettatore viene chiesto è di non fare troppe domande "razionali" su ciò che sta vedendo (in sostanza, un vero e proprio atto di fede), perché i fratelli Coen, pur logici ed euclidei nei loro script come pochi altri sceneggiatori al mondo, mettono da sempre in scena (che si tratti di commedie burlesche o di macabri grand-guignol) la sfiducia nella ragione umana, la preferenza per una visione del mondo obliqua, trasversale, anticonformista, e se per ottenere questo devono prendere la strada più lunga e meno rettilinea la imboccano senza pensarci due volte, magari arrivando alla stessa conclusione (l'arresto e la condanna di Ed Crane) dopo innumerevoli false piste (gli errori nelle indagini della polizia che fanno ricadere i sospetti sulla moglie Doris, il suicidio di quest'ultima, la fuga dell'ambiguo socio di Crane, il cui corpo in realtà giace in fondo a un lago).
Quanto detto sarebbe probabilmente poco più di niente se a supportarlo non vi fosse una tecnica sopraffina, una maniacale e quasi sovrumana ricerca di perfezione formale. Anche un taglio di capelli o il fumo di una sigaretta, nelle mani dei Coen, diventano l'occasione per girare delle immagini memorabili, mentre le scene di strada al rallentatore sono tra i migliori esempi di cinema della solitudine e dell'alienazione che si ricordino. Raramente le sequenze dei fratelli Coen arrivano a commuovere, difficilmente passeranno alla storia come il salto nel vuoto di Thelma e Louise o una sparatoria di Tarantino, ma come si fa a non rimanere ammirati e deliziati di fronte alla sublime visionarietà di un cerchione di automobile che rotola lontano dal luogo dell'incidente fino a diventare, stagliato su uno sfondo nero, la silhouette di un disco volante e infine trasformarsi nuovamente nella lampada accecante di una sala operatoria? Di fronte a simili magie, che oltretutto non fanno mai abuso di effetti speciali, ci togliamo tanto di cappello, consapevoli dell'estremo, ineguagliabile valore di questo cinema così unico e inimitabile.