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HERMITAGE regia di Carmelo Bene

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ULTRAVIOLENCE78     7½ / 10  30/10/2008 13:10:31Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Bisognerebbe conoscere approfonditamente la complessa e articolata produzione di Carmelo Bene –sia nella sua veste di attore/artifex che in quella di filosofo- per potere dare un giudizio con cognizione di causa a questo astruso mediometraggio di carattere sperimentale.
L’ambientazione è quella di una camera d’albergo dell’Hermitage , dove Bene, tra visioni mistiche e monologhi interiori –intervallati da spezzoni musicali tratti da Giuseppe Verdi, dà vita ad una sorta di rappresentazione del proprio interno mondo psicologico, che rimanda al suo rapporto con la madre. In ciò sembra rivelarsi il desiderio di immedesimarsi con colei che lo ha concepito (la lettera che egli scrive si conclude con la parola “tuo”, che più tardi verrà corretta con “tua”), che potrebbe essere letto come una tensione al proprio stato originario nelle acque materne, al recupero del principio della propria esistenza quando ancora “non si era” (nel mondo). Lo stesso vagheggiamento dei fiori azzurri, cui segue una sorta di sostituzione in cui Bene prende il loro posto sul tavolino atteggiandosi in posizione chiastica, sembra esprimere l’anelito dell’attore a tramutarsi in oggetto inanimato, in una statua che in quanto fuori dall’ “essere” è fuori dalla realtà. Il “non più porsi” come soluzione alla tragedia della vita. Sembra questa la via che Bene percorre, attraverso visioni mistiche nelle quali si oggettiva una idealizzazione della figura femminile (ritratta come fosse una e trina), che però si rivela sfuggente. “Basta! E’ finita con chi mi vuole bene!”: con queste parole, accompagnate dal gesto di fare cadere nel gabinetto la foto della madre, egli pare prendere coscienza dell’impossibilità di un ritorno alla purezza dell’origine. E la scena finale che lo ritrae bere una coppa di champagne che poi gli scivola dalla mano, mostra l’uomo/Bene arrendersi di fronte a questa impossibilità.
La scenografia, pomposa e barocca, riflette lo spirito edonistico dell’attore, la cui consapevolezza della propria bellezza estetica/etica prende forma nel dialogo con se stesso allo specchio, in cui egli, cinto da una corona di fiori azzurri, sembra a atteggiarsi a moderno e decadente Narciso. L’atmosfera scura, dominata da un nero nel quale risaltano taluni elementi di un rosso vivo, potrebbe essere letta invece come la rappresentazione di una vita segnata da picchi di passione, che però si perdono nel mare di un nichilismo sconfinato, al quale fa da contrappunto una indefettibile vena ironica (come sembrano dimostrare alcune grottesche soluzioni recitative, che in parte ricordano il comico muoversi spaesato di Buster Keaton).
E’ un opera di difficilissima fruizione (considerata il manifesto del pensiero di Bene), di cui sicuramente mi sono sfuggiti gli intrinseci significati. Ma, al di là della sua comprensibilità, da essa promana un notevole fascino decadente, che non può lasciare indifferenti. Altro che il manierismo intellettualoide del Baricco di Lezione 21!
ULTRAVIOLENCE78  28/03/2010 18:42:16Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
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