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NOSTRA SIGNORA DEI TURCHI regia di Carmelo Bene

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Woodman     10 / 10  19/08/2014 01:52:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
"Lo aveva già detto anche Nietzsche: è un plebiscito. Ti ritrovi in questa sala buia e non capisci perchè si debba accendere un quadrato. E' una celebrazione dei fratelli Lumiére. Dopo di loro cosa c'è stato? Se togli quel minimo di autospavento cercato a tutti i costi o un attimo di smarrimento di certe tribù africane sul treno, io penso che la commemorazione duri dall'800. E' quella, è lei che si perpetua. Organizzata per una specie di turismo in massa, una sorta di Las Vegas povera, né poi così tanto colorita. Il festival dell'Ibrido totale, del tributario. Non ho mai visto un film in vita mia. Per vedere un film bisogna andare nell'Ulisse di Joyce. O in certi passi estatici della Divina Commedia. E il doppiaggio? Un ennesimo doppione. La masturbazioncella del set nel set, tutto Fellini non è altro che un autocompiacimento del set, sciaguratissimo. Ahimè, non è un pompiere, è un cineasta.
Non si può fare arte con l'arte, non si può vivere con la vita.
Si cerchi l'altrove. Dov'è l'altrove nel cinema? Non esiste.
Il Cinema da Oscar, che più ne ha più è cretino, nel senso di furbo, di appena alfabetizzato.
Godard! I Cahiers! Quest'intellettualismo incapace di approfondire il problema, l'idiosincrasia, scritto e orale. Almeno per l'immagine. C'è un **** lassù, doppiano perfino quello. Orante. Volgarità assoluta. Indistinguibile, senza codici. Quello americano lo trovo banalissimo, quello italiano, dal neorealismo, con o senza biciclette, è lo squallore che è sempre stato.
E' nato morto, coi Lumière. Abortito."


Un chiarissimo e dichiarato disprezzo, rifiuto totale dell'ontologia, dell'analisi del comportamento, della bugia, seppur involontaria, che ci rende presenti.
Sciocchezze illusorie, ma finora niente di nuovo sotto il sole.
Sembra che non vi sia nulla di così distante dai punti cardine del romanticismo , a loro volta amplificati e disorientati nel caos pessimistico e fiammeggiante del simbolismo, estremizzati con doloroso affanno e esibizionismo nel decadentismo. Sì, C.B. Sembra un pupazzo assai colorato e divertente fatto su misura per sintetizzare i concetti del negativismo e dell'esistenzialismo fattosi strada fra '800 e primo '900. E parrà scontato anche ciò che sta per essere detto, un normale sprezzo nichilista di stampo dadaista, a tutti i costi furiosamente indirizzato verso lo smembramento interiore dell'uomo, l'azzeramento, l'annullamento, in quanto non essere, proprio perchè inconoscibile.
Il Cinema di C.B. È stato senza dubbio un sofferto duello con il Cinema stesso. Come un soldato traditore, ardito e impavido, buttatosi a capofitto nei meandri dell'odiata volgarissima immagine, C.B. Ha cercato di distruggere quell'orrido canale di scarico ove sono precipitate tutte le frustrazioni, le ignoranti e insulse sperimentazioni del '900, la pattumiera dei fallimenti umani, dell'operato dell'insetto denominato uomo, delle arti. Mai davvero diaboliche, sovversive, coraggiose, distruttive, rivoluzionarie, intelligenti, eccedenti l'uomo o i confini della loro denominazione.
Un mare di amenità disgustose, facezie autocompiaciute, ripugnante autoreferenzialismo.
Soprattutto, il Trionfo dell'Immagine, nel suo scopo più bieco, quello imitativo.
Come si può imitare qualcosa di inconoscibile? Tanto basterebbe ad esprimere la furibonda critica di C.B., che non si è ovviamente limitato solo alla polemica, alla piatta ma gustosa aggressione verbale. Il terribile monello ha avvelenato le radici della cinematografia, le basi tecniche, i cosiddetti princìpi, il senso stesso della "Settima Arte". L'ultima, che tutte le altre raccoglie, in un'accozzaglia degenere che si autoelide.
Da "Nostra signora dei Turchi" a "Un Amleto di Meno", l'opera filmica di C.B. è stata una folgore, un' autentica e coraggiosa, deliberata e spavalda operazione di abbattimento, un vero e proprio complotto, un sabotaggio crudele e irruento che ha cercato di ripulire il Cinema dalla sua stessa identità e sventrarlo, spezzettarlo, ricucirlo, disfarlo e ricomporlo innumerevoli volte sino a comporre mosaici di realtà attimali e iperscrutabili, che rinnegano l'immagine e la sua falsità attraverso il fuori fuoco, l'accensione estrema delle tinte, lo snaturamento dellle componenti filmiche (abbattendo o reinventando la sincronia suono-video, la dialogia, il montaggio, l'impianto scenografico, il cancellamento del percorso azionistico per mantenere vivo l'atto etc.).

"Nostra signora dei Turchi" è l'incomunicabilità.
Distruttiva, disfacente, che disfa. E lo è in sè, vi è nata ed esiste in quanto carrarmato demolitore, corollario di rimembranze, sensazioni, oh sì, stavolta sì: sensazioni. Incomunicanti. Percepibili meno sfocate possibili nell'atto del ricordo, nell'abbandono salvifico e totale.

Liberaci dal Cinema.


Io stesso ho profanato il sommo, lanciandomi in una mezza filippica dimostrativa insufficientemente aulica, oltraggiosamente analitica.
Chiedo venia e stacco le dita dai tasti, rientranti nell'oscurità, così come la mia figura tutta.
Come se non avessi mai parlato. Silenzio.


Capolavoro incommensurabile.