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SYNECDOCHE, NEW YORK regia di Charlie Kaufman

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oh dae-soo     10 / 10  20/03/2012 16:19:39Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Immaginate di conoscere il nome della donna della vostra vita.
Immaginate di sapere dove abita.
Immaginate di conoscerne i gusti, le passioni, le paure.
Immaginate di sapere com'è fatta, di che colore ha i capelli, come cammina, come vi prenderebbe la mano.
Immaginate tutto questo senza averla mai vista.
Poi, finalmente, immaginate di incontrarla.
E tutto quello che sapevate già si materializza davanti ai vostri occhi.
Sì, perchè in questo blog un anno fa scrissi che era stato girato il film più bello che avessi mai visto senza che lo avessi visto ancora.
Ne conoscevo il titolo, sapevo chi era l'attore principale (Seymour Hoffman, per me, lo dico da tempo, il più grande di sempre), sapevo chi l'aveva scritto e chi l'aveva girato (Kaufman, un genio), sapevo la trama.
Insomma, come la donna di cui sopra, sapevo tutto di lui.
Sapevo tutto ma non ne avevo mai visto un singolo fotogramma.
Fino ad oggi, il giorno che precede l'arrivo della Primavera.
Primavera significa l'inizio, un nuovo e splendente inizio. Non poteva esserci giorno migliore.

Dovrei rivederlo più e più volte.
Dovrei rivederlo per poterlo capire anche soltanto un pochino di più, anche se sono convinto che la sua comprensione assoluta è una cosa cui, probabilmente, non arriverò mai.
Preferisco allora scriverne a visione appena terminata perchè se da un lato dovrò giocoforza lasciare qualcosa alla comprensione, dall'altro potrò ancora beneficiare dell'incredibile emozione che mi ha lasciato addosso.
Synecdoche New York è un film che non andrebbe nemmeno paragonato al 99,99% del resto della produzione cinematografica. Tutti gli altri film non dovrebbero nemmeno poter mangiare allo stesso tavolo.
Un film che parla della vita e della sua transitorietà, della morte, del nostro piccolo ruolo in questo corto spettacolo che è la nostra esistenza, della ricerca di un senso o semplicemente di quella della felicità, del tentativo di capire noi stessi e la nostra identità, del vedere tutte le vite umane come una sola e unica, dell'attesa, spesso vana, che ci capiti qualcosa di bello per poter cancellare o rendere almeno migliore la nostra misera condizione.
Caden Cotard è un regista teatrale cui la vita sta sfuggendo di mano. Il matrimonio è in crisi profondissima, l'ombra della depressione aleggia intorno a lui, la paura di essere un malato terminale non lo fa star tranquillo. Decide allora, per dare una svolta a tutto, di organizzare un mastodontico spettacolo teatrale mai visto prima, lo spettacolo della sua vita. Costruisce una New York a grandezza naturale dentro dei capannoni. Lavorerà una vita allo spettacolo di una vita.
Kaufman gioca con il vero e il falso, l'autentico e l'artefatto, il naturale e il recitato, persino lo scambio di sesso, il collasso temporale. Impossibile per lo spettatore non perdersi in questo incredibile ed affascinante gioco di ruoli.
Già dall'inizio si capisce come la morte sia l'assoluta protagonista della pellicola.
L'arrivo dell'Autunno, la morte annunciata sul giornale di Harold Pinter..., la sensazione di Caden di non sentirsi troppo bene, il lavandino che gli esplode e lo ferisce, le quinte che cadono addosso all'attrice. Un'atmosfera fatale.
E Hazel che sta leggendo Il Processo, vero e proprio manifesto di una situazione surreale di cui non si capisce nè la genesi nè si intuisce la fine.
Caden inizia a vedere sè stesso fuori da sè stesso, una specie di Uno, nessuno e centomila pirandelliano (opera fortemente riscontrabile in tutto il film). Da qui in poi anche lo spettatore non ha più certezze, fatica a mettere paletti cronologici (lo stesso Caden si confonde continuamente), vede persone invecchiare ed altre no, cerca affannosamente di capire se quella tal scena sta avvenendo veramente o è solo frutto della propria immaginazione. La surrealtà assale tutto e confonde lo stesso protagonista (un bambino che ha scritto un romanzo xenofobo a soli 4 anni? non è altro che la trasposizione del diario di sua figlia, che magicamente "si continua" a scrivere anche senza di lei).
Un nuovo matrimonio, l'inizio delle prove del SUO spettacolo. Caden comincia ad impazzire. Poi trova il suo alter ego, l'uomo che interpreterà la sua parte nello spettacolo.
Intanto il film a intervalli regolari è sempre inframmezzato dalla morte di qualcuno, vera o presunta che sia.
Siamo completamente sopraffatti, inermi davanti a tanta confusione.
Ma tremendamente affascinati però. Più volte ho provato un'emozione rara, puramente intellettiva, una specie di sindrome di Stendhal.
Poi arriva la vera emozione, quella a cui se hai un minimo di cuore non puoi sfuggire. L'ultima mezz'ora l'ho seguita in apnea. L'incontro con la figlia morente (e quel sibillino "omosessuale" di cui forse capiremo qualcosa poi), il suicidio dell'alter ego (scena straziante con un sublime Tom Noonan), il primo vero e proprio momento d'amore con Hazel prima dell'ennesima morte.
E un elemento nuovo che sconvolge ancora una volta lo spettatore. Chi sta rappresentando chi? Lo scambio di generi inizia a farci venire un atroce dubbio. E se tutto fosse a sua volta rappresentazione e spettacolo di un'altra vita ancora, di qualcuno che non abbiamo nemmeno conosciuto? la parte femminile dell'uno o quella maschile dell'altro?
Non importa, si parla della vita e del suo essere niente, solo una piccola frazione di secondo del Tempo.
Di come sprechiamo i nostri pochi anni nell'attesa di qualcosa che ci faccia star bene.
Di come guidiamo nella strada della nostra esistenza limitandoci a ritrovarsi nel tal punto alla tal ora e in un altro punto nel minuto successivo.
E' una visione disperata quella di Kaufman. La speranza in qualcosa aldilà non c'è. E non c'è nemmeno la possibilità di vivere completamente la felicità su questo mondo.
Non resta che tornare ad abbracciare la propria madre (o colei che la interpreta) e morire proprio quando si è ormai capito come doveva esser portato avanti lo spettacolo, quando, forse, si è finalmente compreso quel senso della vita così imperscrutabile.
Proprio quella madre simbolo di nascita accoglierà la nostra morte.Quella madre che abbiamo deluso, forse soltanto perchè amavamo qualcuno che non dovevamo amare.
"Dove sono tutti quanti?" esclama Caden/Ellen? Le quinte sono vuote, lo spettacolo non c'è mai stato o, nel caso fosse stato messo su, questo è il momento di calare il sipario.
Non era questo il significato che Kaufman voleva dare a sineddoche. Forse si riferiva alla vita di uno come vita di tutti o come alle quinte, piccola parte di New York, a rappresentare l'intera città.
La vera e propri sineddoche però è il film stesso.
Guardi lui ed è come se stessi guardi la Bellezza tout court.
Domani è primavera.
Anche per me.

"Ho scoperto come portare avanti lo spettacolo.
Si svolgerà tutto in un solo giorno.
E quel giorno sarà il giorno prima della tua morte, il giorno più felice della mia vita.
E così sarò in grado di riviverlo per sempre"
VincentVega1  21/03/2012 20:08:19Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
mi hai fatto venire voglia di rivederlo, magari facendolo vedere alla morosa e discuterne insieme, perché, a parte su filmscoop, non ho mai avuto il piacere di poter parlare di questo film con qualcuno.

di sicuro il fatto che non sia mai uscito in italia è un grossissimo passo falso, che spero qualcuno prima o poi si decida di rivedere.

gianni1969  21/03/2012 02:10:18Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
film che ho sotto le mani da diversi mesi,come una reliquia,ma dopo un commento cosi',penso sia giunto il momento di gustarmelo;un bel imput!
oh dae-soo  21/03/2012 10:39:41Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Gianni, ti ringrazio moltissimo.
E' stato così anche per me.
Come ho scritto è più di un anno che sapevo che razza di film fosse ma l'ho tenuto lì anch'io come una reliquia senza trovare mai il giorno giusto.
Poi una serie di motivi ( la festa del papà e mio onomastico, San Giuseppe, l'arrivo della Primavera etc..) mi hanno detto "E' oggi il giorno, almeno lo ricorderai per sempre".
Così sarà.

Un saluto.