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THE WRESTLER regia di Darren Aronofsky

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ULTRAVIOLENCE78     8 / 10  18/03/2009 19:36:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un film che è cresciuto poco alla volta e sommessamente. Appena uscito dal cinema non ne ero entusiasta; ma lentamente “The Wrestler” ha cominciato a prendere piede dentro di me, fino a dispiegarsi in tutta la sua struggente parabola.
“Io sono ormai un vecchio pezzo di carne maciullata". Che figura triste quella dell’ex lottatore impersonato da Mickey Rourke (chi meglio di lui poteva indossarne i panni): un uomo in declino che cerca disperatamente solo amore, rivolgendosi prima a una spogliarellista di “night club”, una donna provata dalla vita e quindi restia a lasciarsi andare per il timore di conseguenze spiacevoli; poi alla propria figlia che, però, non riesce a soprassedere sugli errori di un padre “atipico” e per troppo tempo assente. I colpi inferti dalla realtà sono più duri di quelli subiti sul ring: e allora al vecchio “wrestler” non rimane che salire ancora sul ring, in spregio alle proprie precarie condizioni fisiche, e provare così per l’ultima volta l’ebbrezza di una gloria ingannevole e fuggevole, che crea e distrugge idoli come fosse un “tritacarne”. Le ultime sequenze –in virtù di un esemplare connubio tra recitazione e montaggio- si susseguono in un crescendo emotivo da brividi fino all’ultima scena, intensa e struggente, in cui l’apice della tensione coincide col subentrare della fine ineluttabile, sottolineata da alcuni secondi di nero “silente” (che precedono la “ballad” di Bruce Springsteen).
Darren Aronofsky si concentra quasi esclusivamente sulla sfera privata del protagonista, sfiorando soltanto le problematiche concernenti lo sfruttamento su cui poggia tutto sistema, nonché il tema del “vouyeurismo” malsano, cui è connessa quella “spettacolarizzazione del massacro” molto radicata nella società americana. Il regista si sofferma sulla figura umana di un individuo emarginato, solo e alla deriva, alla quale fanno da eco quelle, allo stesso modo “solitarie”, della spogliarellista e della figlia. E la distanza che separa questi tre soggetti sembra, in definitiva, non dipendere da loro bensì dal tipo di vita che essi si sono trovati a vivere.
Forse potevano essere analizzati in maniera un po’ più approfondita i rapporti fra i tre personaggi (soprattutto quello tra Robinson e la figlia, che in alcuni punti sembra quasi forzato), ma lo sguardo che Aronofsky offre sull’uomo lascia il segno.