caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

APOCALYPSE NOW REDUX regia di Francis Ford Coppola

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
elio91     8½ / 10  01/07/2012 13:09:34Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Versione "integrale" ma più che altro integrata da alcune scene (di cui non si sentiva il bisogno se non per curiosità); sequenze tutt'altro che inutili, come quella nella piantagione francese, ma che se furono eliminate all'epoca della pellicola originale era per un motivo valido. Coppola in ogni caso reinserisce queste lungaggini, più altre sequenze di durata minore ma francamente più interessanti (le baldorie dei soldati negli elicotteri con le conigliette). Più Brando, più sesso, più surreale. Ma in tal senso la versione Redux rimane subordinata all'originale che era (è) molto più coesa in termini di ritmo (pure sballato di suo), emozioni, incisività.
Questo per quanto riguarda la versione Redux, materia per appassionati: se non avete ancora visto Apocalypse Now procuratevi la versione del '79.


Tornando al film in sé, al progetto Apocalittico di Coppola c'è tanto da dire.
Trattasi di film indispensabile nella filmografia di chi ama il cinema, ma magari pure di chi lo odia. Scommetto che Coppola stesso, durante le tribolate lavorazioni di questo oggetto straordinario, cominciò a non sopportare (e non sopportarsi) quello che stava creando, parlava di "disastro sicuro"; eppure andava avanti imperterrito nelle riprese proibitive, novello Herzog americano, quindi su larga scala.

Se poi il film fu un trionfo lo si deve anche all'eccesso; questo è Apocalypse Now. Film eccessivo, strabordante, irreale nella sua pretesa di raccontare una storia di realtà...surreale. Proprio per questo tremendamente veritiero.
"Il mio film è il Vietnam" strombazzava tronfio Coppola nelle conferenze stampa; e oggi più di allora diventa difficilissimo contraddire il regista simbolo della Hollywood anni '80, il più talentuoso e autoriale dell'epocale. Lui, italoamericano nel sangue e nell'anima, che spùttana la mafia ai quattro venti rendendola degna di una tragedia greca, superando lo stereotipo del cinema dell'epoca e creandone di nuovi con i suoi Padrini, lui legato tanto all'Italia come terra lontana in cui ha radici e all'America come il suo paese dove è nato, imbastisce la baracconata epocale del cinema americano, il film dopo il quale indietro non si può tornare proprio più (Cancelli del Cielo a suo modo pure, ma fu uno sfacelo economico a differenza di Apocalypse).
Non può sorprendere che F.F.C. abbia ricavato cicatrici tanto profonde dalla sua epopea sul Vietnam da non poter raggiungere più successivamente questi eccessi, queste vette (chiamatele come volete, tanto sono la stessa cosa ormai una volta tentate). Non c'è Dracula, o Padrino parte terza che tengano, con tutto il rispetto per due bei film tra mestierante e autore quale è.
Herzog sarebbe stato contento di fare un film del genere, ma a conti fatti l'ha fatta e non una volta sola ma tante e tante di quelle volte (Aguirre, Fitzcarraldo in primis). Ma laddove Herzog falliva in maniera epocale decretando il suo (in)successo immortale, Coppola invece ha vinto la sua sfida e questo lo ha condannato a non poter più lavorare a livelli simili, a non voler forse neanche più tentare un'impresa simile. E allora ecco che per far fallire la sua Zoetrope, da vera beffa, non fu un'opera eccessiva ma...un musical, cinema stereotipato per eccellenza e fiasco (imprevedibile) per chi forse dopo un'apocalisse cinematografica (utopia del cinema, per Cioran le definizioni vanno appaiate) si aspettava qualcosa di più. Folli, illusi, stupidi. Non si poteva, non potrà mai più Coppola arrivarci. è morto nella sua Apocalisse istantanea durata anni di lavorazione, fatiche sovrumane.

Potrei continuare a parlare adesso della storia, ma mi sembra abbastanza inutile e limitativo ridurre tutta questa pellicola ad una trama sulla carta scontata. Prevedibile perfino a leggerla cosi come è scritta. Meraviglia del cinema, invece, sullo schermo si è coinvolti, stralunati, impietriti ed esaltati dal tono grottesco e surreale che via via le vicende di ordinaria follia (bellica) assumono fino al delirante massacro/sacrificio finale.
"L'orrore l'orrore" della guerra, ma non solo: della zona d'ombra sempre più vasta dell'animo umano, che ci rende divinità e diavoli, o tutte e due le cose. L'irrazionale razionalità di Kurtz, il vitello grasso (e Brando grasso lo era davvero, tanto da far inventare a Storaro uno dei momenti culminanti del film, il gioco tra luce e ombra che da divo carismatico qual'era Brando improvvisa con grazie naturale da pelle d'oca). Il figliol prodigo, inutile dirlo, è Willard.

Si sprecano i simbolismi a volte fin troppo facili; ma si perde anche qualcosa dell'americanità del film. Non più abituati a cinema del genere, ad autori cosi, oggi la "guerra" hollywoodiana è per palati fini, imbellettata, da videogame. è cinema fatto con lo stampino salvo eccezioni che si contano sulle dita di una sola mano (dalle dita mozze). Milius nella sua sceneggiatura può permettersi di citare Omero dicendo che Kilgore è un pò come l'episodio dei ciclopi; Coppola può dire che questo suo film è sulla voglia di spettacolarità da sempre insita negli americani e negli USA: è tutto spettacolo. La guerra è spettacolo (Wagner e le sue valchirie, scena che a me non ha mai fatto impazzire proprio per la pretesa di spettacolarità fin troppo sbattuta ed esibita in faccia allo spettatore, ma magari volutamente), è spettacolo lo show delle conigliette di Playboy e di contrasto è spettacolarizzato tutto il film con le sue magniloquenti sequenze di esplosioni, fuochi, elicotteri roboanti.

Spettacolo di spettacolo.

Ed ecco che nell'eccesso di un'opera spesso giustamente idolatrata ma raramente compresa fino in fondo (specie dai pochissimi detrattori- ma esistono?) non è più possibile tornare indietro.
Cannes forse lo premiò addirittura PRIMA della visione, per quel che rappresentava; gli Oscar fecero la scelta di snobbarlo dimostrandosi per l'ennesima volta inattendibili solo perché Cimino (che presto intraprenderà la strada di Coppola con un cinema/limite (economico, autoriale, eccessivo) era stato premiato l'anno prima con un'altra toccante e più intimista (ma sempre americana nel midollo) parabola sul Vietnam.
Qui non si fa a gara tra capolavori, sarebbe insensato. Ma bisogna pur ammettere che Apocalypse Now è un punto di non ritorno non solo per Coppola ma per il cinema americano tout-court, nella sua epica mitologica destrutturata e per questo restituita a nuova linfa vitale. Che durerà poco perché il cinema americano, a mio parere, quello epico e d'autore che predispone di mezzi economici e organizzativi da kolossal, è morto con la sua Apocalisse filmica.

Ecco il motivo del mio frettoloso 10 alla pellicola originale.
Do otto e mezzo al Redux perché lungaggine curiosa ma inutile in sé.