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A TEMPO PIENO regia di Laurent Cantet

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Invia una mail all'autore del commento Zazzauser     8 / 10  14/10/2010 19:43:54Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Davvero bello questo film di Cantet. Liberamente Ispirato alla vera storia di Jean Claude Romand (anche se senza la componente del crimine), "A tempo pieno" è un dramma "quieto", se così si può dire, che mette a fuoco la vita di un uomo di mezz'età stanco e demotivato, consulente in una società finanziaria, e la sua inappagabile sete di libertà, il suo bisogno disperato di fuggire dagli schemi e dalle gabbie imposti dalla società, come il lavoro e la famiglia, Molto "novecentesco" su quest'ultimo punto (l'uomo moderno prigioniero degli schemi ed incastrato in una "forma"), la storia di Vincent ricorda molto certi personaggi della novellistica pirandelliana (Belluca di Il Treno ha fischiato e l'avvocato de La Carriola su tutti) che, esattamente come lui, subiscono una crisi d'identità nel momento in cui, per usare la giusta espressione, si "vedono vivere".
Il protagonista è al centro della scena e Cantet ne descrive un profondo disagio, un disorientamento, una rottura interiore, che lo attira da una parte a cercare l'amore e l'affetto della famiglia, dall'altra a crearsi una vera e propria maschera. Vincent è un "attore dentro un attore", che recita una parte ai suoi familiari ed ai suoi amici, ma sopratutto a se stesso, e che si crea una vita fittizia come impiegato a Ginevra per costruire l'apparenza di un lavoro "a tempo pieno" che invece non ha. Mentire, ingannare i propri amici facendosi dare del denaro per degli investimenti fasulli, vivere nascosto ed anonimo, apparire senza essere (vestirsi in giacca e cravatta girando con la ventiquattrore e poi dormire nel parcheggio di un albergo) e soprattutto vagare attraverso la Francia del nord, sono diventate le sue attività a tempo pieno, e Vincent sembra intraprendere una brutta strada finché un misterioso "salvatore" (interpretato da un ottimo Livrozet), quasi una "proiezione" del protagonista negli anni (mi ha ricordato il Tyler Durden di Fincher, o Ivan de L'uomo senza sonno) costituisce il punto di svolta per il suo ritorno alla "normalità". Un salvatore che è l'emblema perfetto dell'uomo schiacciato dal meccanismo capitalistico e che crea un business illegale per poter alzare - non solo finanziariamente ma soprattutto psicologicamente - il proprio tenore di vita squallidamente medio-borghese.
Meraviglioso il finale, che esprime tutta la fragilità di un uomo che si rende conto dell'impossibilità di continuare a vivere un'apparenza e che infine, per non diventare il "folle" pirandelliano, non può far altro che arrendersi alla stessa prigione dalla quale era riuscito a fuggire.
La linea registica di Cantet è quieta, calma, malinconica; niente pianti, niente litigi, nessuna teatralità drammatica: la potente drammaticità del tutto riesce a venir espressa con un tratto quasi distaccato senza perdere un minimo la propria forza. Lo stesso si può dire dell'interpretazione degli attori, Aurelien Recoing fornisce una prova straordinaria, molto bravo anche Livrozet, ed una menzione va anche agli altri (la moglie Karin Viard e gli ex-colleghi del protagonista).