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IL PAESE DEL SILENZIO E DELL'OSCURITA' regia di Werner Herzog

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Ciumi     9 / 10  12/12/2009 11:54:14Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
La solitudine: totale, definitiva, irreversibile. Buio e silenzio, due parole care al Novecento. Ma il buio è violentato da ondate di colori - ci confida Fini - il silenzio è un ronzio persistente.
Non è la pace, è una increspatura inconsolabile, uno schiumare d’acque tetre dove il fiume nero e il fiume senza suono s’incontrano. I sensi dei “normali” stanno agli argini come vegetazioni fiorite e canti d’uccelli. Le rocce che chiudono questo lugubre bacino sono l’immobile depressione che subiscono ad ogni momento i sordo-ciechi.
Fini si propone da guida, da vate a quest’inferno. Noi la seguiamo, accorti, facendo piano, eppure potremmo gridare e loro non ci sentirebbero. E si ha l’impressione d’una impotenza immane, d’un coinvolgimento solo parziale. Non riusciamo a entrare in quel Paese. Una distanza incolmabile e vuota si frappone tra noi e loro. Continuiamo a seguitare lo scorrere di quel fiume invisibile dalla riva. E’ il massimo che possiamo fare.

Buio e silenzio. Lo schermo nero in principio c’immerge subito in uno stato simile alla cecità. Poi una voce si racconta. L’immagine in grigio, nuvolosa, vaga di un sentiero (è forse assieme un brevissimo omaggio al documentario antropologico di Flaherty?). Un volo di sciatori nel bianco abbagliante, uno slancio vitalistico, lontanissimo dal Paese di oggi, del silenzio e dell’oscurità.
Credo che trovarsi in quelle condizioni sia un sognare ininterrotto. Dev’essere terribile, restare per sempre imprigionati in un sogno. La realtà è di triti ricordi. Di foto non visibili. Le righe della pagina scomparvero. Dopo, le parole. Poi le immagini e i suoni. Infine gli amici e le persone.

Comincia la visita a questo cerchio (sì è un cerchio infernale anche questo, come quello dei nani in “Anche i nani hanno cominciato da piccoli”). Ci sono presentate alcune storie degli altri “abitanti” del Paese. Una donna assoggettata al buio, chiusasi completamente in se stessa. Una visita al giardino botanico, una gita allo zoo. Il toccare una pianta diventa motivo di grande interesse. L’accarezzare un animale momento di enorme gioia.
L’alfabeto tattile funziona come una sorta di sottotitolazione, che non riusciamo a decifrare ma che ci sforziamo di leggere, e che qualcosa ci spiega. Una volta lasciate le mani, ci si trova nuovamente isolati nel silenzio e nell’oscurità incolmabili.

Sempre più addentro: ragazzi sordo-ciechi dalla nascita. Vengono mostrati i difficili metodi d’educazione da parte del personale del centro che li accoglie.
Sempre più addentro: Vladmir, un ragazzo sordo-cieco dalla nascita che sino ad oggi non è mai stato educato in alcun modo. Prova il dolore colpendosi con una palla sul volto, stringe a sé la vibrazione di una radio che trasmette musica e sembra quietarsi.
Sempre più addentro: Heinrich è un anziano dimenticato dagli uomini e che ha trovato rifugio nel mondo degli animali. Ha vissuto in una stalla. Mentre Fini prova a comunicare con lui, egli scrolla via la sua mano, si allontana dal gruppo, abbraccia il tronco d’un albero. Gli altri lo raggiungono, lo accompagnano a casa. Fini rimane sola, sotto le fronde, nel Paese del silenzio e dell’oscurità.

L’apparente freddezza con cui Herzog gira questo documentario, è in verità un atto di grande umanità e rispetto. Resta dietro la cinepresa, discretamente sembra tenersi in disparte, quasi consegna a Fini la direzione. Non calca sul Pathos, lascia che esso venga suscitato da sé. A tal proposito, è curiosa la scelta della dolcissima aria della suite di Bach, un gesto di sentita compassione.

Guardali, anima mia: sono veramente orribili.
Simili a manichini, vagamente ridicoli,
terribili, strani come i sonnambuli;
dardeggiano non si sa dove i globi tenebrosi.

I loro occhi, abbandonati dalla divina scintilla,
restano alzati al cielo, come se
guardassero lontano: non li si vede mai curvare
verso il selciato la testa appesantita.

Attraversano così l'oscurità senza confini,
sorella del silenzio eterno.

Da “I ciechi", C. Baudelaire.