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ALL THAT JAZZ - LO SPETTACOLO COMINCIA regia di Bob Fosse

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Invia una mail all'autore del commento pompiere     9 / 10  21/10/2010 15:57:49Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Una brutta tosse, gli occhi arrossati, un collirio, un cachet, una doccia calda con la sigaretta ancora accesa tra le labbra, uno psicostimolante a disposizione, i violini che suonano da un mangianastri e… "si va in scena". C'è chi vive stando sulla corda, per non saper attendere. Chi preferisce un'eiaculazione precoce alla conservazione perpetua. Per fare il regista, il coreografo e il montatore scrupoloso ci vuole questo e altro: qualche bottiglia di alcool e allegre parentesi con una discreta quantità di donne.
Sto parlando di un menestrello che ha regalato tutto ciò che aveva allo spettacolo e non ha riposto niente per se stesso. Autodistruttivo per il terrore di essere convenzionale. "All that jazz", con le sue lampeggianti coreografie, il suo fervore registico e i balletti, rappresenta l'estensione cinematografica della vita di Bob Fosse. L'autore americano sceglie come suo alter-ego la cera affaticata e l'aspetto scarno di Roy Scheider, il quale interpreta sullo schermo Joe Gideon, la cui esistenza viene raccontata a ritmo di danza e di numeri musicali superbi.

La pellicola è una delle più alte e raffinate riflessioni sulla morte, e insieme un inno alla seducente dinamicità della vita. Un giocare con la falce fienaia, ma senza le prostrazioni bergmaniane, e con una messa in scena colorata, tinteggiata da personaggi brillanti.
L'idea del trapasso viene burlata a più riprese, grazie a stralci ironici di enorme rilievo (il medico che, mentre visita Joe, fuma e tossisce a ripetizione, e la sequenza nella camera d'ospedale subito dopo l'infarto), ma anche rispettata tramite un racconto spesso doloroso ed emotivamente feroce. Registicamente parlando, Fosse non è mai stato così in stato di grazia; le scene del balletto di "Air-otica" e la lettura "sorda" del copione sono idee magistrali di come andrebbe fatto il cinema.

Fotografata con acume dal nostro Giuseppe Rotunno, e inframmezzata da spezzoni di un monologo comico e di un confronto immaginario con un Angelo bianco, nonché funerea "nuova moglie", che ha l'eterea consistenza e la bellezza di Jessica Lange, la pellicola gode di un editing composto da imponenti accavallamenti.
E' interessante notare come il filmato dell'assolo umoristico venga costantemente esaminato, tagliato, allungato, rimontato, visto e rivisto, in una perenne e insoddisfacente ricerca della rappresentazione perfetta, di quel fiore immutabile e impervio che Fosse considera essere la rosa. Quello che lui consapevolmente crea è soltanto temporaneità, apparenza, e lo ammette a cuore aperto in una spietata analisi di se stesso.
Passando attraverso l'Ira, il Rifiuto, il Mercato, la Depressione e l'Accettazione, l'autore ci conduce attraverso i cosiddetti cinque stadi del processo della morte. Corteggiata, amata, odiata e poi nuovamente adulata, la dipartita è resa tra parentesi che spaziano dal cabaret allo spettacolo di varietà, dal musical al jingle pubblicitario, in una messa in scena impareggiabile, piena di arditi riferimenti all'inconscio e al surreale.