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MIRACOLO A SANT’ANNA regia di Spike Lee

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gerardo     5 / 10  20/11/2008 17:17:15Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Spike Lee ha una sua personale battaglia (giustissima e condivisibile, peraltro) da condurre col suo cinema militante e duro. Ha realizzato indiscutibili capolavori, film stilisticamente, esteticamente e ideologicamente intensi. Non c'è dubbio.
Questa volta, però, la sua battaglia culturale-razziale si (con)fonde ad altri temi, che probabilmente conosce molto meno rispetto a quelli a lui cari e consoni, ovvero la guerra mondiale, di riconquista alleata in Italia e la Resistenza.
L'obiettivo di Spike Lee è mostrare il bianco e il nero, l'ambiguità strisciante di ogni ambiente e contesto umano, compresi quelli (etnicamente o ideologicamente) a noi più vicini. Allora, se per un verso è lodevole la denuncia di un risvolto oscuro (in ogni senso) della guerra americana nell'Italia del '44, coi soldati neri mandati come carne da macello in avanscoperta nella boscaglia della Lunigiana a caccia di tedeschi, senza adeguata copertura e con scarso interesse per le loro sorti da parte dei comandi (bianchi), dall'altro non si capisce dove voglia andare a parare con il discorso sul tradimento nella Resistenza. Lee recupera, a questo proposito, un fatto storico reale, l'eccidio della popolazione di Sant'Anna di Stazzema ad opera della soldataglia nazista in ripiegamento, per il quale è stata emessa una condanna penale definitiva che ha fatto chiarezza e giustizia (almeno formale...) sulla strage.
Ciò che risulta incomprensibile è proprio la scelta di raccontare un tradimento in seno alla Resistenza, come motivazione alla base della rappresaglia nazista, attraverso un fatto realmente accaduto, cadendo (a maggior ragione dopo la sentenza di condanna definitva) in un colossale falso storico. Per di più pericolosamente revisionista.
Poco simpatico è stato anche l'atteggiamento stizzito dello stesso Lee di fronte alle domande, nelle interviste italiane, che gli chiedevano conto di questa scelta narrativa, segno evidente che questo film è stato preparato con imperdonabile pressapochismo.
In linea generale, poi, il film sa piuttosto di fiction televisiva, con un livello recitativo scarso, con personaggi e situazioni al limite dell'improbabile. Valentina Cervi, per esempio, è una campagnola che, da ex-"cittadina", rivendica costumi e mentalità più aperti, tanto da flirtare coi soldati (neri, per giunta!) americani: se il concetto di flirt tra la donna povera italiana e il soldato americano, portatore di nuovi valori culturali ed estetici, ci può stare - e nella realtà ce ne sono stati tantissimi -, già più inverosimile appare quello interetnico, per quei tempi e per quei contesti culturali. Ma tutto ciò sarebbe anche passabile se non si mostrasse il personaggio della ragazza come fosse una femme fatale attuale, abbigliata con dei vestiti davvero poco anni '40 e davvero poco umili e contadini (come il personaggio richiederebbe).
La verosimiglianza, poi, viene completamente derisa dalla scelta di doppiare i soldati americani tanto da creare un'improbabile quanto ridicola comunanza linguistica coi residenti indigeni: il risultato è che gli americani parlano correttamente l'italiano e gli italiani parlano in toscano...
E che dire di quel finale carrambesco?...