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AN AMERICAN CRIME regia di Tommy O'Haver

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Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73     6½ / 10  30/10/2014 10:59:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non si dovrebbe fare, però a me il paragone con "The girl next door" di Gregory Wilson scatta in automatico. In entrambi i casi è presentata la storia dei vergognosi soprusi subiti da Silvya M. Likens da parte della folle Gerty Baniszewski in combutta con i figli e alcuni ragazzi del vicinato.
In questo caso abbiamo una maggiore attinenza ai fatti, un percorso quasi didascalico nella messa in scena dell'orrore partorito dalla rassicurante porta accanto. Nel film di Wilson la fonte d'ispirazione è invece l'omonimo romanzo di Jack Ketchum, il quale rivede leggermente l'incubo di cui fu vittima la giovane.
Abbiamo un' ambientazione meno orrorifica in "An american crime" ed alcuni particolari cambiano, ma di certo la resa è meno convincente soprattutto per la minore empatia instaurata con la protagonista, ed anche per le insufficienze derivanti da un'investigazione delle devianze psichiche abbastanza semplicistica quanto l'approfondimento dei rapporti tra le protagoniste.
Il lavoro di Tommy O'Haver è maggiormente fedele alla cronaca (purtroppo trattasi di storia vera accaduta nel 1965 in Indiana), al tempo stesso resta un resoconto più freddo, meno coinvolgente nonostante indignazione e rabbia montino comunque a più riprese. Nulla però in confronto a ciò che si prova con la quasi analoga pellicola; è quindi forse un errore visionare prima "The girl next door", a mio parere uno dei film più disturbanti che mi sia mai capitato vedere.
Fortunatamente anche in questo caso i particolari più crudi vengono lasciati solo intuire, le violenze psicologiche invece sono esplicitate di netto e, per quanto aberranti, colpiscono relativamente a causa di uno sviluppo dei personaggi imperfetto; la follia da cui prende vita la violenza di cui è vittima Sylvia appare forzata in certi passaggi, si avvertono debolmente la forza manipolatoria e l'ossessione che la guidano.
La pur ottima interpretazione di Cathreine Keener non eguaglia quella spaventosa di Blanche Baker e anche il confronto Ellen Page/Blythe Auffart si risolve a favore di quest'ultima.
Stiamo tuttavia parlando di un buon film, efficace nello stigmatizzare il disinteresse di una società improntata all'esclusivo benessere, indifferente alla violenza subita da altri e ammantata da un'omertà repellente.
Una middle class che dietro le abitazioni accoglienti, le funzioni religiose, i gesti gentili e i giardinetti curati nasconde segreti indicibili. Le vedute imbellettate fuorviano il viandante o il vicino poco attento, comunque troppo codardo e concentrato sulla sua vita per poter ficcare il naso oltre le porte dell'inferno.