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THE HURT LOCKER regia di Kathryn Bigelow

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jack_torrence     6½ / 10  18/05/2010 16:04:14Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
The Hurt Locker, per espressa dichiarazione d'intenti della regista K. Bigelow, vuole essere un'esperienza sensoriale. E' costruito con cura per riuscire a portare lo spettatore nel cuore degli eventi.
Lo stile e la fotografia di impronta "documentaria" (analoga a quella dei film di Greengrass) ben si conciliano con l'inconoscibilità del reale, con la reiterata assenza di spiegazioni sulla provenienza degli ordigni, su cosa ci sia dietro alla morte del ragazzino Beckham, su ogni cosa.
Di concreto, palpabile, rimangono solo la paura e l'assurdo (nel vuoto di senso che può produrre morte).

Quanto il film è contro la guerra? La domanda ha poco senso. Infatti il film non si preoccupa mai di spiegare, a un ipotetico spettatore che nulla sappia del conflitto in Iraq, la sconsideratezza di una politica estera che ha condotto, anzi ha creato, quella situazione.
Nel film non si legge alcun intento di denuncia.
E però quando si fa un film sulla guerra, quando si fa un film su di una particolare guerra, non ci si può permettere di disinteressarsi del contesto, quasi che quelle situazioni fosse il fato ad averle volute.

"The hurt locker" soffre poi di un'ambiguità peggiore.
Si apre con l'asserzione "la guerra è una droga"; questa asserzione, il protagonista la dimostra per tutto il corso del film, e la sua (già vista, in tanti film sul Vietnam) scelta conclusiva di tornare nel caos della guerra, lo dichiara definitivamente.
Ebbene, un film come questo, costruito eminentemente per "far vivere l'esperienza sensoriale", si comporta col pubblico proprio come una droga. Una droga visiva, fornita in otto dosi, gli otto episodi del film.
Non dimentichiamoci che l'idea di una droga visiva era al centro di un altro film della Bigelow come "Strange days". La visione, non solo la guerra, può essere una droga. Questo la regista l'ha già detto, lo sa bene.
Il film evita gli stilemi del film di guerra canonico, preferendo all'azione, e all'intrattenimento commerciale più classico, una struttura scomposta in otto episodi quasi indipendenti, celandosi dietro l'apparente ambizione autoriale di essere un film semi-documentario sulla guerra in Iraq.
Tuttavia, proprio la struttura episodica, rapsodica, contribuisce a persuadere di come il film lavori piuttosto come una droga, senza alcuna riflessione critica, nessuna denuncia, come la citazione posta in exergo sembrava invece promettere.