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GRAZIE, ZIA! regia di Salvatore Samperi

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outsider     7½ / 10  15/11/2011 10:38:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Or dunque, "Grazie,Zia" è un film molto interessante che merita una riflessione e un riconoscimento.
L'opera, caratteristico prodotto del periodo in cui è girato, abilmente ricostruisce l'alienazione e l'amarezza ( stati d'animo su cui si soffermarono vari registi particolarmente nel decennio '58-'68).
Viene trattato il tema della persona disabile, peraltro inquadrata in un periodo difficile e pesante per la condizione.
L'attore infatti fa la parte di un 17 enne ( anche se di anni ne dimostra almeno una decina in più, almeno dico) e inoltre recita molto bene in quello stile che al tempo avevano cucito addosso molti ricchi scontenti, con in più l'afflizione ed il degrado dato dall'incattivimento per la malattia.
Altri due attori meravigliosi, Gabriele Ferzetti, praticamente perfetto, recitazione ed espressività da premio Oscar e Lisa Gastoni, fantastica (una delle mie attrici preferite da notti insonni e convulsioni dall'eccitazione) i cui due occhi verdi da cerbiatta, (quasi fosse il suo sguardo antesignano dell'azzurrina Crescentini, ma più conturbante nel calore) non spiccano causa il bianco e nero. La Gastoni era un'attrice che recitava meravigliosamente con movenze da sapiente attrice di teatro, la ricordo in un film di Totò all'epoca schernito dalla critica, demolito e definito filmetto "totò monaco di monza", con Macario ed il grandissimo nino taranto. Donna capacissima, ligure di nascita, padre torinese e madre irlandese, Lisa Gastoni ha interpretato da fuoriclasse tutti i ruoli più difficili, ovvero quelli in cui l'attrice deve incarnare momento per momento i sobbalzi dati da situazioni torbide causate da sentimenti che conducono all'instabilità e alla sofferenza, come la passione e l'attaccamento all'uomo sbagliato o disonesto.
Il cinema ha saputo vedere queste qualità e la sua filmografia, un po' sottovalutata, è stata costruita sul valore interpretativo e non solo sull'apparenza di bella donna (che nulla aveva da invidiare alle altre) cosa a dire il vero difficile anche allora.
Grazie Zia è un film sapientemente costruito e diretto, che, dopo aver descritto alienazione, infelicità e scontentezza, lascia spazio all'amarezza, di cui anche lo spettatore è invaso. Anche la bellissima Gastoni, Dottoressa in clinica, intelligente, giovanile, piena di stile e fascino, diviene un giocattolo nelle mani del ragazzo e si abbandona al torbido gioco.
I limiti della sceneggiatura portano il film a non decollare mai, quello che sembrerebbe dover accadere si trascina in un morboso gioco al massacro, in un vortice realistico a tratti ma successivamente improbabile.
Tre sono i momenti del cambio di rotta:
la sparizione di Ferzetti che esce dalla vita della dottoressa, ma che recava seco solo abitudinarietà ed egoismo, anche se in qualche momento sembra sublimarsi, in realtà è un uomo che non ama davvero e/o da cui la Nostra non si sente amata
la scena delle domestiche che si allontanano mentre Lisa e il nipote "giocano" agli innamorati sul tappeto, ( singolare poi la tortura psicologica del giovane;
il "non ritorno" in clinica ( cosa veramente improbabile) della dottoressa, la cui non raggiungibilità viene annunciata ai sanitari che telefonano, dal nipote, cosa davvero poco realistica, semi demenziale, forse il regista ha voluto sottolineare il delirio psicopatologico, davvero improbabile, anche vista la professione medica di Lisa.
La trama nella seconda parte si avvita su se stessa, rallenta, annoia. Tuttavia Sampietri ci conduce dove vuole, allo stato d'animo che vuole destare, ovvero fa sì che lo spettatore si compenetri nell'improbabile delirium.
Tecnicamente alcune inquadrature tradiscono davvero una mancanza tecnica che, evidentemente, al tempo non poteva essere corretta mancando la moltitudine direzionale delle riprese che il digitale ha portato. Primi piani traballanti, da cine amatore poco esperto, in un dialogo fra la Gastoni e Ferzetti.
L'ultima scena, invece, l'inquadratura che posteriormente alla scena si allontana, ci fa capire come la cultura delle riprese di scena il regista l'avesse eccome, l'ispirazione c'era. Con quell'inquadratura si dice tutto. Resta l'amaro in bocca, con l'unico sapore zuccheroso di aver visto uno splendido fondoschiena in bianco e nero, che ha fatto leccare i BaFFi anche e soprattutto al Vecchio Outsider. Scena da urlo, quella dello specchio. Pollice su.