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BURN AFTER READING - A PROVA DI SPIA regia di Joel Coen, Ethan Coen

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kafka62     7½ / 10  27/02/2018 14:03:31Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
I fratelli Coen mettono in scena con "Burn after reading" una intelligente opera di decostruzione del genere spionistico: intelligente e, aggiungerei, assai sofisticata, in quanto i due registi americani utilizzano sì tutti i topoi delle spy stories ma, più che ribaltarne le ragioni e le motivazioni ad esse sottostanti, essi le azzerano completamente e, pur non scendendo mai al livello della farsa (come avrebbe fatto, sia pure con suprema eleganza, Billy Wilder), realizzano quasi senza darlo a vedere uno dei più bei documenti cinematografici sulla stupidità umana a cui mai mi sia stato dato di assistere. La stupidità pervade tutti i livelli della gerarchia sociale, dai pezzi grossi dei servizi segreti, che non riescono a capire nulla dell'aggrovigliato caso che obtorto collo sono costretti a sbrogliare (forse perché ragionano con logiche rimaste immutate dai tempi della guerra fredda), giù giù fino alla Linda di Frances McDormand, che incautamente mette in moto questa assurda ronde solo per poter ricevere i soldi per un'operazione di lifting. In mezzo ci sono personaggi assolutamente irresistibili, dall'erotomane Harry di Gorge Clooney al mentalmente ipodotato (o iPod dotato, vista la maniacale frequenza con cui ascolta la musica in cuffia) Chad di Brad Pitt, dall'ex spia in cerca di vendetta di John Malkovich all'algida e odiosissima Katie di Tilda Swinton, i quali si agitano tra culto della forma fisica, tradimenti e paranoie da intercettazioni senza mai riuscire ad assumere neppure approssimativamente quei ruoli che, come eleganti vestiti da sera indossati da rozzi contadini, invano cercano di far propri, sopraffatti da una comica inadeguatezza che, visti i tragici esiti finali, risulta più letale e pericolosa del cinismo e della malvagità dei delinquenti di professione.
Con questo film i Coen si riconciliano con il pubblico dopo anni di opere minori (con le sole eccezioni di "L'uomo che non c'era" e di "Non è un paese per vecchi", che comunque erano forse i titoli meno personali della loro lunga filmografia), e sfiorano, nonostante un finale un po' affrettato, i livelli del loro capolavoro "Il grande Lebowski", al quale lo accomunano una storia complicatissima e semplice allo stesso tempo, il gusto per il divertimento anarchico, l'impietosa e spassosissima registrazione di idiozie e tic assortiti e, soprattutto, un gruppo di attori superlativi, utilizzati in maniera molto originale e spiazzante rispetto ai cliché che si portavano cuciti addosso.