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EDWARD MANI DI FORBICE regia di Tim Burton

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Godbluff2     9 / 10  25/01/2023 22:34:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Se la gioca con "Ed Wood" per il miglior film di Tim Burton. Edward è, molto probabilmente senza dubbio alcuno, la miglior storia raccontata da quel grande narratore cinematografico che è stato Burton.
Il Tim Burton di Edward è un cantastorie fanciullesco che guarda il lato "diverso" del mondo con una delicatezza e una sensibilità che sfociano nel lirismo, ma anche con l'adulta lucidità di chi è consapevole che i "normali" non saranno mai pronti ad accettare il diverso, che non esiste lieto fine per lui, non gli è concesso.
Il film che Burton scrive con Caroline Thompson (autrice della sceneggiatura e co-autrice del soggetto) è un dramma che si consuma sullo sfondo di una fiaba gotica, una storia con momenti persino decisamente sdolcinati a ben vedere, che acquistano profondità grazie all'identità di colui che le vive; un film che è anche sguardo spietatamente caricaturale sulla tipica cittadina americana di provincia, di quelle anni '50-'60, coloratissima, vivace, allegra, armoniosa, perfetta. Terribilmente falsa. Il castello gotico che si staglia improvvisamente ai confini dei vialetti perfettamente curati è un pugno in un occhio, oppure è quella specie di plastico costruito con i lego ad essere un pugno in un occhio per il castello che si erge sopra di lui, viene da chiedersi ?
Qui, tutte le firme d'autore del regista si esprimono sui loro massimi livelli e la storia di questa benevola e gentile novella creatura frankensteniana si muove attraverso esempi vari di ammirazione per gli stili e l'estetica di certo vecchio cinema del passato, anche e anzi soprattutto quello delle produzioni a basso costo e seguendo consolidati schemi e fonti narrative (di Shelley e dei Frankenstein cinematografici ho detto, ma non sono i soli, lo schema è anche quello abbastanza ovvio de "La bella e la bestia" nel rapporto impossibile tra Edward e Kim) Burton crea qualcosa di così personale da vivere perfettamente al di là dei propri modelli, liberando tutta la visione personale, il credo morale e artistico e la fantasia dell'autore, dando vita a qualcosa di nuovo e molto più completo e compiuto di quanto non sia lo sfortunatissimo protagonista di questa storia.
L'amore per il cosiddetto "freak" che Burton ha versato nel creare il personaggio di Edward è palpabile, è la figura più iconica e più simbolicamente significativa di tutto il suo cinema e nei suoi confronti Tim Burton è un padre che sa di non potergli dare il finale lieto che probabilmente in fondo gli sarebbe piaciuto dargli. Burton ama i suoi freak, i suoi bistrattati reietti della "normalità", e ai tempi in cui di far cinema gli andava parecchio, lo trasmetteva in ogni inquadratura.
E il lavoro nell'estetica di "Edward" è chiaramente fondamentale, a partire dal design indimenticabile del protagonista, con trucco e costumi di primo livello e sono splendide tutte le idee estetiche che lo accompagnano, le sue siepi, le sue sculture di ghiaccio, le nevicate artificiali...
Poi la scenografia di nuovo di Welch, che dopo le mirabilie su "Beetlejuice" si ripete con quel contrasto spaventoso tra l'ambientazione da gothic novel del castello/laboratorio (all'interno sembra più un film sci-fi a basso costo degli anni '50-'60) e l'inquietante confettiera asettica della cittadina. Un capolavoro.
Le caratterizzazioni dei personaggi, molto "caratteri", sono poco sfumate perché sono personaggi tipici di una fiaba, pur avendo tutte le bassezze umane di un mondo molto più concreto. La famiglia che accoglie Edward è sinceramente generosa, eppure sospesa tra totale ingenuità (Peg) e un certo disinteresse di fondo per gli sviluppi che le vicende porteranno ad Edward (il marito); i vicini (soprattutto le ben più presenti vicinE) sono un formicaio decomposto di schifosa ipocrisia, di squallida vigliaccheria piccolo-borghese e il ritratto che ne danno Burton e Thompson è impietoso, tanto che la fanatica religiosa appare come la meno insopportabile del novero (poveraccia, almeno lei è completamente pazza e via); naturalmente, essendo il dichiarato villain con tanto di "duello" finale con la lady contesa di mezzo, il peggio del peggio è l'ottima caratterizzazione del giovane bifolco americano medio, una sottospecie di essere umano che nella scala dell'evoluzione sta tre gradini sotto le meduse. E si, Burton gliela regala una piccola soddisfazione al suo Edward o quantomeno di sicuro l'ha regalata a me, in quella scena lì. E che sguardo, il Johnny, in quel momento. Ecco, gli attori.
Winona Ryder, che è deliziosa anche qui ma non convincente al livello di "Beetlejuice", torna a lavorare con Burton e fa un regalo al suo principale mentore cinematografico, portandosi dietro il fidanzato, quel giovane attore in rampa di lancio che instaurerà con Burton uno dei sodalizi professionali più duraturi (e per un po', anche artisticamente fortunati) nella storia del cinema, oltre che una solida amicizia personale. Talmente legati, i due, che hanno smìnchiato insieme le loro rispettive carriere, teneri. Depp comunque qui si consacra, qui Burton lo modella, lo lo fa scoprire al mondo e lo prepara ad essere uno dei migliori attori della sua generazione, quella degli anni '90, eclettico, espressivo, capace di spaziare in personaggi e stili cinematografici spesso legati alla bizzarria ma molto differenti tra loro (penso per prima cosa a "Dead Man" di Jarmusch).
Quella di Edward è un po' la "sua" interpretazione, è una prova clamorosa in cui recita quasi esclusivamente con il corpo, con la gestualità e con gli sguardi, un misurato attore che sembra però provenire dall'enfatico mondo del cinema muto. E quanto bene Depp restituisce tutta la gamma emotiva di Edward, quanto.
Poi, l'intesa all'epoca di fuoco con Winona aiuta, il feeling tra i due è una delle chiavi della commozione finale, naturalmente non l'unica ma indubbiamente una delle.
Attorno a loro, poi, Burton può disporre di attori del pesante calibro di Dianne Wiest e Alan Arkin, senza contare le apparizioni di Vincent Price, il sempreverde pallino di Tim, che onora nuovamente (e chiaramente, non per l'ultima volta) quelle sue amate figure un po' vetuste di certo cinema che fu. Come cornice, le musiche di Danny Elfman, manco a dirlo.
Funziona tutto in "Edward Scissorhands", commuove con sincera delicatezza, avvolge nelle sue atmosfere e si impone come classico assoluto e picco di un autore che ha regalato molto bel cinema nei suoi anni d'oro.