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THE MIST regia di Frank Darabont

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ULTRAVIOLENCE78     8½ / 10  12/10/2008 16:49:05Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Basandosi sull’impianto narrativo del racconto di Stephen King “La nebbia”, Frank Darabont, nel solco tracciato da Romero con la saga degli “zombies”, dà vita ad un’opera cinematografica nella quale si serve del genere “horror-fantascientifico” per enucleare una serie di profondissime riflessioni filosofiche sull’umanità.
Una cittadina americana è afflitta da un inspiegabile fenomeno: su di essa è calata una fitta cappa di nebbia. Si scoprirà ben presto che all’interno di essa si annidano ostili alieni, intenti a mietere vittime al fine di annientare il genere umano. Mentre l’invasione si sta compiendo, l’occhio del narratore si sofferma sulle vicende che si svolgono all’interno di un supermercato, nel quale si trova rinchiuso un gruppo di persone spaurite e disorientate.
A questo punto, Darabont si sofferma a delineare ed analizzare il progressivo sviluppo dei rapporti umani, determinato sulla scorta dell’influenza che esercita su di essi l’elemento della paura. In questo modo, il regista ha la possibilità di mettere in luce le divisioni, ma soprattutto i condizionamenti psicologici che ineluttabilmente si producono nel consorzio umano, simbolicamente rappresentato nel film dal microcosmo creatosi all’interno del supermercato: emblema di benessere di una società che seppur “civilizzata” mantiene in sé quegli stessi istinti primordiali che si perpetuano dai tempi dell’ominazione.
In questo contesto, personaggio cruciale è la predicatrice biblica: in essa si oggettiva l’influenza che sulla società occidentale ha determinato il cristianesimo che, facendo leva sugli istituti del peccato e del senso di colpa, ha fomentato nell’uomo quella paura che lo ha reso schiavo e servile nei confronti del Potentato della Chiesa. Dal terrore riviene poi l’obnubilamento delle menti, di cui è proiezione la nebbia che incombe sulla cittadina, nella quale si nascondono i mostri generati dalla ottusità di chi è stato plagiato dalle grandi menzogne delle false dottrine. Vittima della predicazione è la parte maggioritaria del gruppo, che assurge a emblema della massa oppressiva che demonizza i diversi, coloro che hanno idee divergenti; ma soprattutto che ha bisogno di un nemico tangibile da sacrificare in nome di convinzioni e principi che, proprio perché ostili alla vita, non ammettono contraddittorio (straordinaria quella sequenza nella quale il militare viene pugnalato ed espulso al di fuori dell’edificio, mentre tutti dall’altra parte assistono alla sua morte indifferenti). Dal buio della massificazione della maggioranza emerge la minoranza osteggiata e ostracizzata, che nel distacco dal resto del gruppo si inoltra nella nebbia “illuminando” la propria strada. All’interno di questa minoranza Darabont sembra voler focalizzare l’attenzione sulla ricostituzione di un nucleo familiare inteso nella sua accezione più lata, cioè trascendendo i vincoli delle convenzioni cattolico-borghesi (al padre e al figlio si aggiungono una donna e due anziani, che nei ruoli rispettivamente di madre e di nonni). E a questo punto avviene il colpo di scena spiazzante, che costituisce un vero e proprio ribaltamento del finale edulcorato che aveva caratterizzato “La guerra dei mondi” di Spielberg, sostituendosi alla “conciliante riconciliazione” la tragedia della disperazione e della rassegnazione, che in Darabont diviene una sorta di monito contro chi decide di “deporre le armi” e di non continuare a lottare fino in fondo. Proprio come ha fatto colei che, all’inizio del film, si è coraggiosamente arrischiata solitaria nella nebbia per accorrere dai figli, e che alla fine sfilerà sul carro dei militari davanti agli occhi di un padre lacerato dal rimorso. In questo finale pare riassumersi il destino di un’umanità che, nonostante tutto, va avanti animata dalla speranza, ma guidata –ahimè- da quei Potenti che sono allo stesso tempo carnefici e salvatori.
E’ davvero un film pregnante e ricco di riflessioni e spunti, che prendono le mosse da illustri precedenti. Moltissime le citazioni: da Carpenter a Scott, da H.G.Welles a E.A.Poe; ma soprattutto questo film è un palese omaggio a Romero, come dimostrano chiaramente l’ambientazione nel supermercato (“dawn of the dead”) e la sequenza finale (“night of the living dead”). Alle citazioni ed ai tributi si uniscono, però, le interessantissime idee e analisi di Darabont, che cosìfacendo ha nobilitato il racconto di Stephen King, così come fece in precedenza Stanley Kubrick in “Shining”.
anthony  12/10/2008 17:35:40Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
scrivi davvero bene!
asile1  12/10/2008 17:55:24Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
copia incolla..
ULTRAVIOLENCE78  12/10/2008 20:05:56Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
No no, è farina del mio sacco...
ULTRAVIOLENCE78  12/10/2008 20:06:06Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Grazie.
Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73  16/10/2008 14:20:21Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ottimo commento,sono totalmente d'accordo con te.
ULTRAVIOLENCE78  16/10/2008 15:49:01Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Grazie Tyler!