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DANCER IN THE DARK regia di Lars Von Trier

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ULTRAVIOLENCE78     8 / 10  27/08/2009 15:41:44Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
“Perché hai voluto un figlio?”

Ancor prima di uno sguardo sulla nequizia dell’uomo, ma anche sulla sua capacità d’amare incondizionatamente (straordinaria, nella sua profonda devozione, la figura di Jeff), e sulla irrinunciabile bellezza dell’immaginazione quale viatico per sfuggire –seppure temporaneamente- alle pene del quotidiano, “Dancer in the dark” rappresenta una vicenda attraverso cui Lars Von Trier riflette sull’opportunità di mettere al mondo un soggetto.
Selma ha un animo buono, candido e gentile. Nonostante ciò la sua bonomia è macchiata da quell’egoismo latente (e istintuale) che l’ha determinata a generare un figlio in mancanza delle condizioni ideali (ammesso e non concesso che queste esistano per davvero), rischiando così di condannarlo, oltre alle sofferenze che già di per sé la vita riserba, a patire una malattia ereditaria. Selma comprende il suo errore e allora, vittima di una serie di contingenze sfavorevoli e di un nefasto piano, decide di immolarsi al fine di evitare l’ingiusto destino al piccolo Gene.
Ma il suo sacrificio è salvifico e vale a riabilitarla, o è da considerare del tutto vano? La risposta pare sia che non v’è modo di riparare al torto conseguente ad una procreazione arbitraria. Gene potrà pure scampare al tormento della malattia, ma ciò è compensato dalla perdita della genitrice, il cui atto sacrificale estremo non può nulla contro quello, ancora più estremo, della nascita.
Un (anti)”musical” fuori dagli schemi, in cui si ribalta il canone classico (proprio di opere quali “Tutti insieme appassionatamente”, alla cui messinscena lavora la stessa protagonista) incentrato sulla linearità di una narrazione consacrata al lieto fine, per virare verso esiti opposti sia per la portata drammatica della storia sia per il modo in cui questa è raccontata. Il regista danese stravolge la struttura diegetica, optando per un montaggio “irregolare”, fatto di piccoli e frequenti balzi temporali, e puntando su inquadrature fin troppo instabili (quasi da capogiro) ed eccessivamente mirate al dettaglio (campi medi e lunghi sono quasi del tutto aboliti) per offrire largo spazio all’espressività di Björk.
Ma con i lavori successivi la musica cambierà: ciò che appare come un difetto in “Dancer in the dark”, in “Dogville” si affinerà e, con “Antichrist”, raggiungerà una forma praticamente perfetta.