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DANCER IN THE DARK regia di Lars Von Trier

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amterme63     9 / 10  01/03/2008 21:43:16Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Si può dire peste e corna di Lars von Trier, però bisogna riconoscere che sa creare storie e personaggi di grande impatto nell’animo di guarda, o almeno di chi è disposto a partecipare a quel che vede. Questo film mi è rimasto nel cuore per la bellezza interiore dei personaggi, per la loro verità e per il realismo del mondo che li circonda. Non c’è idealizzazione o retorica, ma anzi domina la nuda e dura vita quotidiana ed è questo che fa il film così intenso e credibile.
Certo, per ottenere il massimo dell’effetto, occorre portare in scena qualcosa di speciale. Ecco che Von Trier ci regala il personaggio di Selma, una tipica sua eroina, fatta di dedizione e altruismo al limite dell’autodistruzione; una donna che incanta chi le sta vicino per la verità, la semplicità, l’intensità del suo comportamento, dei suoi stati d’animo. E’ certamente qualcosa di estremo, di “puro” e per questo colpisce, perché è decisamente fuori dell’ordinario. Anche Selma ha il suo codice etico “eterodosso” che difende a spada tratta a costo di diventare a volte fin troppo rigida, danneggiando se stessa e ferendo gli altri (vedi il povero Jeff). Un codice che prevede di nascondere il suo animo più intimo (e la sua realtà di ceca) per non “influenzare” che le sta accanto (tanto è modesta). Una svista le sarà fatale, una confidenza di troppo determinerà la perdizione e il contrappasso. Sarà costretta a scegliere fra il fine e il mezzo, fra la dedizione agli altri e la sua sopravvivenza. La scelta non è eroica, è anzi dolorosissima. Sceglierà di darsi agli altri, ma non sarà una decisione facile, tutt’altro.
La novità di questo film è che Selma non è sola, è circondata da personaggi puri e altruisti come lei, meno intensi ma forse più affascinanti perché molto più umani e ordinari. Il personaggio interpretato dalla Deneuve assiste Selma come un angelo e non pretende niente in cambio; non si sa perché si comporta così, discreta ma allo stesso tempo molto affezionata. Anche lei si “sacrifica” per qualcuno che non è nemmeno parente o “amante”. Il personaggio che mi ha colpito di più è però quello di Jeff: così buono, così modesto, così fedele. Non so, sono ancora scosso. La scena dell’ultimo colloquio in carcere, con Jeff che dice “ti amo” a Selma in maniera così semplice, modesta ma così vera e poi riattacca, è una specie di tuffo al cuore. E’ qualcosa che mi ha molto commosso e che non riuscirò mai a scordare.
Questo film è anche l’ennesima accusa alla società americana, così materialista, dura e impietosa. Se non hai soldi non hai diritto a niente, una situazione che prestò sarà attuale anche in Italia (lo è già per gli immigrati). A essere onesti la rappresentazione della società americana fa il paio con quella dei religiosi in “Le onde del destino”, cioè appare troppo cattiva. Basta vedere la scena del processo in cui viene fatta parlare solo l’accusa.
Quell’eccentrico di Von Trier anche qui gigioneggia con la macchina da presa e con il montaggio. Bisogna dire che la materia dei suoi film è cosi profonda e intensa che si dimentica facilmente la forma strana e anzi ci si fa tranquillamente l’abitudine. Qui utilizza la forma della “sincope”, cioè spezza il corso delle immagini e “seleziona” solo quelle fondamentali per descrivere la scena o suggerire uno stato d’animo. C’è poi l’inserimento continuo di pezzi da musical, il quale interrompe spesso il crescendo emotivo. Allo stesso tempo aprono una specie di finestra dentro il personaggio di Selma, rendendola più comprensibile. Danno anche un po’ di respiro alla storia che sarebbe fin troppo sentimentale e permettono un minimo di estraniamento dal personaggio (tecnica a cui Von Trier non vuole rinunciare). In quegli intervalli (che possono anche sembrare stucchevoli) è contenuta anche molta poesia. Von Trier è l’artista della “non bellezza” esteriore. Per lui conta solo la bellezza interiore. E’ strabiliante come attrici della portata della Deneuve o della Kidman assumano ruoli così modesti e quasi prosaici, mettendosi sullo stesso piano di attori qualsiasi, rinunciando così a ogni “divismo” ma guadagnando molto in significato etico, diventando più vere e sincere.
Marco Iafrate  21/06/2008 18:32:09Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Condivido perfettamente quello che scrivi Luca, ho appena finito di vederlo e mi ha lasciato di sasso, bellissimo, ne avrei scritto volentieri la recensione; non sono uno che si commuove facilmente ma anche a me nella scena del colloquio in carcere (e non solo in quella) mi sono venuti gli occhi lucidi.