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DANCER IN THE DARK regia di Lars Von Trier

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kafka62     8½ / 10  27/04/2018 11:37:48Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Le prime immagini sono quelle traballanti, sfocate, sgradevoli del Dogma, quelle "scritte con la mano sinistra" che abbiamo imparato a riconoscere nei film di Vinterberg e Von Trier degli anni '90. Qui però esse hanno una inequivocabile necessità narrativa, tanto è vero che ci sembra da subito di vedere la realtà con gli stessi occhi, incerti e miopi, di Selma. Non appena inizia il primo numero musicale questa impressione si rafforza: la macchina da presa si ferma, i colori diventano brillanti e il campo visivo si allarga. In quelli che sono veri e propri sogni ad occhi aperti (quasi un paradosso per una donna quasi cieca) si realizza lo scarto massimo tra realtà e fantasia. Ma in "Dancer in the dark" il musical non è solo (o non è tanto) una forma di evasione dalle preoccupazioni del mondo, ma la proiezione di una personalità alienata, di una identità dissociata: Selma è, come la Bess de "Le onde del destino", una santa laica, la cui ingenua e totale irriducibilità alle regole raziocinanti e ipocrite della società moderna viene fraintesa fino al ripudio, all'espulsione, all'alienazione fisica.
Il musical di Selma non si giustappone come per magia alla realtà, ma parte dai rumori ossessivi di questa (un macchinario in funzione, la puntina di un giradischi, delle matite che scrivono), li reinventa ritmicamente, li riduce alla propria alternativa visione del mondo. E in questo modo, senza strumentazione e senza orchestra, Von Trier gira uno dei più bei musical di tutti i tempi, cui Bjork (autrice anche delle musiche) presta una voce e un volto meravigliosamente disponibili e autentici. Una delle scene più strazianti è quella in cui, nella cella in cui è rinchiusa, Selma non sente più alcun rumore che le permetta di far partire la sua immaginazione, e allora non le rimane che cantare da sola con voce balbettante e imprecisa. Saranno per fortuna la sensibile secondina e l'amica del cuore, nelle ultime bellissime e commoventi sequenze, a suggerirle quei rumori (un cadenzato passo di marcia e addirittura il battito di un cuore) che le consentiranno di andare verso la morte quasi senza accorgersene. Nel tema della "penultima canzone" e della continuazione a tutti i costi del sogno, Von Trier introduce poi un motivo apertamente religioso (già Selma ci era apparsa come una figura cristologica, e l'esecuzione capitale una rappresentazione moderna della Passione), aprendo inaspettatamente una finestra sul trascendente, uno spiraglio sull'aldilà, una prospettiva di fede.