caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

12 regia di Nikita Mikhalkov

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Invia una mail all'autore del commento kowalsky     7 / 10  18/07/2008 19:55:41Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Malgrado la sensazione di fedeltà rispetto all'originale, credo che 12 sia un film stilisticamente e (soprattutto) formalmente completamente diverso rispetto all'originale di Lumet.
Stupisce come sempre l'innata abilità tecnica di Michalkov, ormai assunta a spettacolizzazione medianica di un cinema che forse in passato aveva più cuore che abilità tecnica (v. il ciclo di film dedicati a Cechov, lustri or sono).
Ma tant'è: anche se la rappresentazione non cancella la sensazione di precostituito e preconfezionato, anche se il tutto sembra frutto di un'abilissimo esercizio di stile, anche se nei referenti ideologici (non tanto la ferita profonda della Cecenia, quanto i velati ammiccamenti alla politica di Putin) sono quantomeno irritanti, il pretesto di trasformare un grande post-noir giudiziario ("La parola ai giurati" di Lumet, appunto) in una meditazione politica e culturale dell'ex unione sovietica è affascinante. E lo diventa nello spazio fotografico del protagonista indiretto, il ragazzo accusato, mentre fa ginnastica all'interno della cella, simbolo di libertà violata e di metaforica (in?)giustizia. Ovviamente il finale buonista conduce tutto nella retta via: è tipico di Michalkov, regista la cui intelligenza si stempera con il profondo disagio che provo per questo yuppie sovietico, sempre al centro dell'attenzione, sempre pronto a raccontare le malefatte dell'ex Urss pur tacendo degli zar e (oggi) del dossier Mitronkin: come uomo un vero buffone.
Ma rispetto all'insopportabile "sole ingannatore", resta perlomeno il potere delle immagini, che rivestono il film di una grande forza creativa (oltre alle splendide performance degli attori), facendo spesso dimenticare il conformismo neutrale e massimalista del regista, la plateale esibizione delle colpe invisibili (per lui) della cosiddetta democrazia