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GHOST DOG - IL CODICE DEL SAMURAI regia di Jim Jarmusch

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Woodman     9½ / 10  26/07/2014 11:47:46Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Media ingrata per questo film geniale, probabilmente il migliore di Jarmusch, nel quale si ritrova intatta e passionale tutta la sua poetica indie, la giostra di personaggi stravaganti, inquietanti, sconvolgenti (sconvolgente è l'indiano à-la cuckoo's nest che accarezza i piccioni, non appena entra in scena sul terrazzo, sotto al cielo blu nitido, subito è chiaro, fresco, aggiornato il quadro filmico jarmuschiano, in cui i personaggi sono amati e devono essere memorabili, seppur di fianco, ininfluenti, di passaggio, comparse).
Il succo in realtà non è nemmeno dei più originali, seppur filtrato attraverso una trama interessante (un nero poderoso e pacato, colto e ieratico si mette in testa di seguire i principi dei samurai per rendere onore al mafioso che gli salvò la vita, rimanendo leale, fedele e amorevole -come codice vuole- nonostante il padrone lo faccia sempre più finire nella mer.da, rivelandosi un vigliacco egoista), ma la solita delicatissima ed eterogenea messa in scena di Jarmusch mette il tutto sotto una luce crepuscolare, che inonda le immagini di una quieta e potente malinconia, era un bel po' di tempo che un film non mi straziava dall'inizio alla fine con una simile, sensibilissima dolcezza malinconica.
Fra i tanti momenti indimenticabili: la conversazione al parco con la bambina, la presentazione di Ghost Dog ai capi della cosca mafiosa, il gustosissimo sterminio nel villone, la scena del lavandino (strepitosa), il finale tenerissimo.
La grandezza di Jarmusch sta nei lampi, negli improvvisi scatti di genialità visiva e concettuale. Anche se, devo dirlo, l'utilizzo a scopo premonitore dei cartoni animati è stata una scelta un po' infelice, e siccome nel cinema jarmuschiano è questione di sound e groove, beh, il sound grottesco degli onnipresenti cartoons risulta un po' stridente, suona come un vezzo fine a sè stesso.
Unico neo in un muto e sbiadito carnevale di anime in pena, che assume grandezze stilistiche degne di un nero di Melville (che tutti hanno riconosciuto come fonte di ispirazione per il regista) e toni esistenzialisti che pian piano impregnano tutta l'opera, partita in sospensione, nell'aria, con un piccione, destinata ad atterrare sempre più rovinosamente, sino a strisciare sul suolo, ed ecco quei toni diventare radici.
Uno spettacolo tutto da gustare, imperdibile per chi volesse godersi la galleria di freaks jarmuschiani più triste mai vista.
Splendidi contributi musicali dei Wu Tang Clan, perfetti per rendere l'idea di una struggente ed attualissima malinconia metropolitana.
Affascinante l'apparato figurativo, con quei colori pastosi e piatti, tempere compatte sul camion dei gelati, richiami all'infanzia, par di sentirne ancora l'odore.
Destabilizzante, a meno che non si è abituati a vivere nella malinconia, nel qual caso il film si rivelerà uno squisito cullamento da assaporare in solitudine.

Ennesima dimostrazione di come il Cinema saccheggiato e rielaborato non si ha da trovare soltanto nei copia e incolla forsennatamente masturbatori di Tarantino, ma anche qui, in Jarmusch, che pesca a piene mani dal noir, dagli action di Hong Kong e dalla solennità di Kurosawa e compie un delizioso e autentico decoupage, fatto proprio col vinavil, lui si ferma ad annusarlo, a riempirsi i polmoni di aromi e piccoli momenti. Il Cinema dei particolari, il Cinema dei sensi.

Imperdibile.