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LA PIANISTA regia di Michael Haneke

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kafka62     7 / 10  06/04/2018 15:38:16Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il cinema di Haneke può essere descritto attraverso l'immagine metaforica del caos e del disordine che irrompono, incrinandoli irreparabilmente, nell'armonia e nell'ordine preesistenti. Ciò risulta chiaro fin dall'incipit di "Funny games", nel quale la musica di Bach, suonata dall'autoradio dei due coniugi mentre si stanno recando nella loro villa al lago, veniva improvvisamente interrotta, con un inquietante effetto premonitore, da un selvaggio brano di rock duro. La musica classica, che – va detto per inciso - risulta affatto congeniale ad Haneke per rappresentare la facciata di decoro, di buon gusto e di perbenismo borghesi dietro alla quale brulica un vero e proprio verminaio di vizi e perversioni, è presente, fin dal titolo, anche nella sua ultima pellicola. Ma se nel primo film l'irruzione avveniva dall'esterno (i teppisti vestiti di bianco e con la faccia da bravi ragazzi), ne "La pianista" il conflitto è tutto interno al personaggio di Erika. Algida, esigente, severa, senza mai un cedimento emotivo o un momento di compassione nella grigia routine dei concerti e delle lezioni di musica, Erika cela in realtà una morbosa inclinazione per le pratiche sadomasochistiche: frequenta i peep show, spia le coppiette che fanno l'amore nei drive-in, si ferisce il sesso con una lametta da barba (come la Ingrid Thulin di "Sussurri e grida").
"La pianista" non è però una sorta di "dottor Jekyll e mister Hide" al femminile. Anziché preludere a un crescendo drammatico o a qualche colpo di scena, la doppia vita della protagonista è analizzata in maniera fredda ed entomologica, con uno sguardo impassibile ed estraneo. Haneke non svela mai apertamente, ma lascia solo intuire il dissidio interiore di Erika (che, dal rapporto di amore-odio che essa ha con la madre, può farsi risalire forse ad edipici traumi infantili), la sua lotta tra sentimenti e razionalità. "Io non ho sentimenti – dice a un certo punto la donna – e se dovessi averne per un giorno, non permetterò mai che essi abbiano il sopravvento sulla mia intelligenza". Il vero problema della pianista è la totale insensibilità cui si autocondanna e che rovina l'unico rapporto d'amore della sua vita, quello con il giovane allievo Walter, il quale si innamora di lei ma poi la respinge disgustato dalle sue insane richieste erotiche. Il personaggio di Erika assomiglia molto a quello di "Grazie per la cioccolata" di Chabrol e, come il suo omologo interpretato anch'esso da Isabelle Huppert, è profondamente tragico, pur nella scelta stilistica del regista che nega programmaticamente i meccanismi della tragedia. Il gesto con cui la donna si accoltella al petto nel foyer del teatro è infatti il suo estremo, disperato tentativo di provare un sentimento qualsiasi, di rompere, sia pur dolorosamente, la morsa fatale dell'apatia.
Haneke gira un film che si colloca a metà strada tra Fassbinder e Bergman, ancora più freddo e crudele, se possibile, dei suoi maestri. "La pianista" è in realtà un'opera difficile e sgradevole, spesso rischia di essere scambiata (proprio come molti critici hanno fatto) con una porcheria pseudo pornografica, ma il grande rigore formale del regista riesce alla fine a nobilitarla e a farne quasi un capolavoro, destinato, nonostante le molte scene disturbanti, a rimanere impresso nella memoria dello spettatore. Di Isabelle Huppert, infine, non resta che ripetere quello che di lei negli ultimi anni si è detto con sempre maggiore e unanime consenso: la francese è di gran lunga la migliore attrice vivente.