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PORNOCRAZIA regia di Catherine Breillat

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Ciaby     7 / 10  13/04/2009 18:23:37Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Sottovalutato, incriminato, pregiudicato.
"Pornocrazia" (come al solito la traduzione italiana del titolo, che si rifà all'omonimo romanzo della stessa Breillat, è un poco fuori fase. Molto meglio il titolo originale "Anatomia Dell'Inferno", che rispecchia la natura misogina del personaggio monocorde interpretato da Rocco Siffredi) è il secondo film della Breillat (dopo il bellissimo "Sex Is Comedy") alla quale mi sottopongo:
è un film che non vuole stupire, non vuole scioccare, come invece avrebbe fatto la Breillat dei tempi che furono. Qui, la regista francese vuole prendere in considerazione il suo animo femminista più recondito, generalizzando il genere maschile ad una mandria di porci pronti a trattare la donna come oggetto.
Rocco Siffredi nei panni di un gay misogino dalla parola piuttosto aulica (i suoi dialoghi sembrano poesie schizofreniche e deliranti), esprime al meglio l'universo maschile che attacca la Breillat, mentre l'antipodo di questo rapporto screziato è contraddistinto dall'attrice Amira Casar, in un ruolo molto convincente che le calza a pennello.
Inizia timido e poi esplode. Lento all'inizio, con inquadrature piuttosto levigate e dolenti e poi si lascia strafare da perversioni perfettamente riusciti (non ai livelli di un Daisuke Yamanouchi o un Takashi Miike, ma per un film erotico occidentale è già un buon livello): indimenticabile la penetrazione con rastrello (!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!) e la scena in cui il protagonista maschile è costretto ad ingurgitare il sangue mestruale di Amira Casar (di cui...guarda caso non si conosce il nome).

"Pornocrazia" è un film furbo, ambizioso, che sembra essere la versione europea di un qualsiasi pinku eiga giapponese di inizio millennio, eppure è sorprendente per chiunque vi entri.
Non è altro che una blague (uno scherzo, giusto per usare un termine francese): probabilmente (come il grottesco finale lascia un poco intendere), la protagonista nemmeno esiste.
Il vero protagonista è lui: l'omosessuale misogino, che si martoria cercando di capire la propria natura.

Quando scopre di essere diverso da ciò che ha pensato non può far altro che uccidere la sua perversione, l'elemento catalizzatore del suo male.

"La donna non è altro che la malattia dell'uomo" annuncia la pellicola, nel triste e grottesco flashback infantile della protagonista. "Abbiamo deciso di giocare al dottore...ovviamente ero io l'ammalata".

Non c'è perversione in queste parole, ma dolore.

Un'ottima prova registica di Catherine, purtroppo compresa da pochi.