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IL PETROLIERE regia di Paul Thomas Anderson

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Lucamax     10 / 10  25/03/2008 22:51:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
A cinque anni di distanza dalla distorta e surreale “love story” di Ubriaco d’amore il regista/sceneggiatore statunitense Paul Thomas Anderson cambia decisamente registro e torna alla regia con una pellicola dura, profondamente cupa e pessimista - si potrebbe parlare di pessimismo cosmico -, che a differenza di tutti i suoi lavori precedenti non lascia alcuno spazio a possibilità di speranza o di redenzione. Come in Ubriaco d’amore, però, Anderson mette di nuovo al centro della narrazione un unico personaggio, rimanendo dunque ancora lontano dalle narrazioni multiple e dagli incastri di varie vicende umane di evocazione altmaniana di Boogie Nights e Magnolia, che lo avevano imposto prepotentemente all’attenzione della critica internazionale.
La nuova opera del trentottenne cineasta originario della San Fernando Valley è un film audace, tanto coraggioso quanto complesso e al contempo profondamente radicato nella cultura americana e, come ha felicemente scritto più di un mese fa su “Il Manifesto” Giulia D’Agnolo Vallan, nelle sue due anime primarie (il capitalismo e l’evangelismo); un lavoro di grande valore che di certo meriterebbe di essere visto almeno una seconda volta prima di essere giudicato, così da avere la possibilità di coglierne le diverse sfumature e i molteplici temi suggeriti tra le righe.
Ambientato a cavallo tra il XIX e il XX secolo (e più precisamente tra il 1898 e il 1927), Il petroliere è stato definito giustamente da diversi critici americani un “character study”, vale a dire uno studio approfondito su un unico personaggio. Effettivamente la pellicola si concentra quasi esclusivamente su Daniel Plainview (Daniel Day-Lewis), un uomo taciturno, essenzialmente solitario e misantropo, ossessionato dall’idea di arricchirsi grandemente scovando e comprando a somme molto basse territori colmi di “oro nero”. Oltre a Plainview - che è chiaramente una demitizzazione personificata del classico “self-made man” a stelle e strisce - l’altro personaggio che riveste una grande importanza all’interno della pellicola è Eli Sunday (interpretato dall’ottimo Paul Dano), l’ambiguo predicatore della comunità in cui giunge l’avido cercatore di petrolio e nella quale si svolge la estesa parte centrale della narrazione. Anderson ci mostra l’inarrestabile e progressiva ascesa del protagonista principale senza giudicarlo, senza infingimenti, evitando abilmente - come d’altronde ci ha abituati fin dal suo esordio con Sidney - di assumere atteggiamenti moralistici che sarebbero risultati del tutto fuori luogo; e nel frattempo introduce lentamente la sinistra figura del predicatore, che a poco a poco si rivela essere sempre più vicina e simile a quella di Plainview. Dal film emerge uno sguardo impietoso, privo di banali edulcorazioni, sull’avidità, l’egoismo e l’ipocrisia che albergano nell’animo umano. Ciò che realmente sorprende è l’eclettismo di Anderson, il quale si mette in maniera encomiabile al servizio della storia che deve narrare e offre una prova registica sobria e composta (caratterizzata perlopiù da leggeri movimenti di macchina e spesso persino dall’utilizzo della macchina fissa), molto lontana dallo stile dominante in Boogie Nights, Magnolia e Ubriaco d’amore, che si alimentava spesso di piani sequenza, rapidi e irrequieti movimenti di macchina e panoramiche a schiaffo. Ed è proprio questo rapporto di apparente estraneità tra Il petroliere e il resto della sua filmografia che a nostro avviso rappresenta il più evidente indicatore della maturità e della grandezza dell’ancora giovane Paul Thomas Anderson: solo un grandissimo regista con un’eccellente padronanza del mezzo cinematografico è in grado di realizzare ottimi film così diversi tra loro sul piano estetico in nome dell’aderenza alle esigenze narrative, così come esclusivamente un eminente cineasta può riuscire nell’impresa di non ripetersi mai, cercando costantemente nuove sfide. Come in tutti i suoi lungometraggi precedenti, la colonna sonora è una componente narrativa essenziale che ha lo scopo di immergere completamente lo spettatore nella dimensione filmica, contribuendo in maniera decisiva alla costruzione di una forte e duratura empatia. La musica per orchestra composta da Jonny Greenwood è straordinaria e in alcuni punti chiaramente ispirata a quella di Ligeti e Penderecki utilizzata da Kubrick in 2001 e Shining. Da sottolineare la sublime prova d’attore di Day-Lewis, la splendida fotografia e l’agghiacciante sequenza finale che nel rapporto tra musica e immagini ricorda Arancia Meccanica.
[Fonte: Cinem''art]

Che ne pensate??
Magiko  25/05/2008 12:29:54Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ma che voglia hai di fare sti romanzi!!! Cmq è un bel commento, complimenti.