Penn ha il merito di riproporre il tema noto del “ritorno alla natura” senza quasi mai cadere in facile retorica.
Le ragioni che muovono il protagonista rimangono ambigue (è una ricerca, una fuga o entrambe le cose?) e raccontate con pudore. La problematica familiare come possibile movente é, infatti, esposta dalla voce narrante della sorella (per Chris è quasi un rimosso), mentre sulle ragioni più propriamente filosofiche emergono solo alcune efficaci e non ridondanti riflessioni.
Alcune figure che Chris incontra durante il suo viaggio iniziatico (incontri che ricordano, per la loro dolcezza e umanità, la "Storia Vera" di Lynch) rappresentano evidenti surrogati di quel padre che gli ha fatto mancare una dimensione ideale e simbolica della vita.
Significativa la breve sequenza del ritorno in città, in cui vi è il contrasto tra i derelitti in strada e i volti sorridenti di giovani benestanti al di là di una vetrina: il mondo che avrebbe dovuto appartenere al protagonista gli appare ormai estraneo e orribile.
L'esito è una sorta di caduta edenica vagamente Malickiana, con avvisaglie simboliche della morte imminente, seguite dalla fine effettiva della vita del protagonista, rappresentata come una possibile ma non del tutto consolatoria riconciliazione con sè stessi e con il mondo
Peraltro, il senso di questa morte rimane in sospeso tra la sconfitta individuale di chi ha preteso troppo nella sua solitaria sfida e un più generale rimando alla perdita del sogno utopico.
Penn gira con uno stile originale, molto impressionistico, creando un’atmosfera più cupa che ariosa e indulgendo a qualche manierismo (vedi i vari ralenti). Bella e adatta colonna sonora.