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INTO THE WILD regia di Sean Penn

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Invia una mail all'autore del commento kowalsky     8 / 10  28/01/2008 00:50:10Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Non dovremmo essere ipocriti a contemplare l'ascetismo come unica ragione tangibile di vita: probabile che molti di noi lo faranno, ancora una volta, con questo film. In realtà abbassiamo il capo, ammirati ma in fondo anche compiaciuti di non seguire le scelte del protagonista.
La vicenda mi fa pensare a Bruce Chatwin, o anche al nostro Davide Sapienza (fortunatamente vivo e vegeto) che ha condiviso le stesse tracce letterarie (Jack London) ma - almeno finora, si spera - con una minore dose di incoscienza individuale.

E veniamo dunque al film: oramai è risaputo, questo tipo di film sono bellissimi e (spesso) impossibili da realizzare. Catturano con enorme respiro, resteranno probabilmente nel ricordo di chi li vede (penso all'ultimo Coppola o a Babel, all'ultimo Malick etc.) ma qualcosa sfugge di mano.
Sean Penn è straordinario per aver evitato accuratamente le ingenuità nella prima parte, almeno fino a quando un risibile messaggio religioso rischia di affondare nella prevedibilità: intendiamoci, nessun preconcetto alla base, ma trovo che tutto l'incontro di Jon/Alexander con il vecchio ("Quando si perdona si ama e quando si ama la luce di D.io scende su di noi") scenda su di noi spettatore un pò di latte alle ginocchia.
Possedere la chiave "spirituale" del mistero della natura non è facile, ed esibirla in un film meno ancora, e Penn ci riesce splendidamente, a tratti.
Però avrei preferito evitare quella summa C.r.i.s.t.o.logica che fa del protagonista un laico messia inerme davanti alla "bellezza" (un pò troppo ammiccante e underground) del "suo" mondo.
La brutalità del rito sociale è descritta in maniera troppo netta per non indurre qualche sospetto (è tutto così "mostruoso" il nostro mondo terreno?).
Oltretutto la narrazione (dell'amata sorella) sceglie un accademismo che non tiene conto, dopotutto, della radicale empatia che si sviluppa con il fratello, almeno a livello di scelte (tra chi trova la libertà nella fuga, e chi la coltiva nei desideri).

"Into the wild" è, in ogni caso, un magnifico film sulla morte di un codice familiare che vegeta seguendo gli istinti più affermati della società contemporanea, quindi una "facciata" strumentale alle scelte dei propri figli, retaggio di una coscienza separata dal dolore arrecato per altre ragioni.
Segnalo su tutti un William Hurt stupefacente, capace di suggerire un cinismo arrogante con molti sguardi e poche parole.
La notevole colonna sonora di Eddie Wedder (con exploit che non si sentivano da anni nei Pearl Jam recenti, su tutti una "Society" che rischia di diventare la "Knocking on heaven's door" del XXI Sec.) incide profondamente su immagini che, al di là delle ingenuità un pò reduciste di cui parlavo prima (viandanti tutti simpatici cordiali e affabili) cattura la bellezza di una forma desnuda di "conversione antisociale": lo dimostra la sequenza di Jon quando affronta un Messico con i suoi grattacieli, simbolo di una sterile imitazione del capitalismo usa, la bestialità del rito sacrificale (l'alce scannata) per la sopravvivenza, o le fughe nei treni merci come ai bei tempi di Woody Guthrie.
O anche l'oggetto più "spirituale" del film, ribattezzato Magic Bus come una canzone degli Who, sacrario anch'esso di una sopravvivenza che ha comunque bisogno di un (pur umile) rifugio per aderire alla propria ricerca.

Si legge "il cammino solo per perdersi, per non essere avvelenato dalla civiltà cui fugge", ed è probabilmente questa frase l'anello di congiunzione tra la storia e quel finale Malickiano ove "quello che ho visto io" (cit.) dà sempre e comunque segni di vita.

Se poi l'elemento "c.r.i.s.t.o.logico" del film indicasse un raggiunto equilibrio tra gli elementi, o anche una (per noi comuni mortali inaccettabile) "conquista della saggezza" allora è facile ammettere che le cadute di tono di cui parlavo prima non sono poi così rilevanti
Invia una mail all'autore del commento Gualty  14/05/2008 04:20:19Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
secondo me l'elemento C.R.I.S.T.Ologico non è presente nella maniera che temi... tanto è vero che dopo il momento da "latte alle ginocchia" Alex scoppia a ridere in faccia al vecchio, benevolmente, un po' come quando il padre dice una cosa da vecchi e il figlio dandogli una pacca sulle spalle glielo fa capire.
così come quando in maniera diretta lo hippy chiede ad Alex " ma sei Gesù? ora ti metterai a camminare sull'acqua? " alex ci scherza sopra.
Insomma, secondo me sean penn era consapevole del rischio messianico del personaggio e ha voluto risolverlo giocando a carte scoperte e denunciando da se il dubbio dello spettatore. Perchè mentre l'uomo che la chiesa vuol farci imitare abbandona tutto volontariamente per trovare dio, e il suo messia sceglie di morire "per noi", Alex abbandona tutto solo per cercare la verità, non cerca amore, non cerca giustizia. solo verità e bellezza.

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ULTRAVIOLENCE78  11/02/2008 15:13:57Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Secondo me, "Grizzly man" gli è nettamente superiore...