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IL TEMPO DEI LUPI regia di Michael Haneke

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Beefheart     6½ / 10  06/09/2007 21:03:45Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Films di fantascienza, sul post-catastrofico/apocalittico, ce ne sono tanti; ad essi si aggiunge questa "versione Haneke", dove agli scenari degradati, alla deriva dei valori morali e sociali, al disorientamento generale, alla miseria della distruzione (per altro solo intuibile), si aggiunge quell'atmosfera glaciale che pervade le location ed i volti dei personaggi dei suoi film. Al solito, violenza e crudeltà aggrediscono i suoi protagonisti (e gli spettatori), se pure indifesi ed innocenti, senza lasciare loro tempo di reazione, nè scampo, nè speranza. D'altra parte, per un "maniaco" ossessionato dalle peggiori brutture umane che si manifestano in veri e propri scempi contro l'individuo, sempre alla ricerca del colpo letale da assestare allo stomaco del suo pubblico, quale miglior teatro della nuova ecatombe globale?! E' così che la gelida ed attonita Isabelle Huppert si ritrova a vagare per imprecisate terre della Francia rurale, nebbiosa, inospitale, spopolata dagli eventi, insieme a ciò che è sopravvisuto della sua famiglia, in cerca di qualsiasi mezzo od espediente che possa portarli in salvo... Dove, però, non è dato sapere.
Per tutto il film non succede altro che il costante e graduale accumularsi di relitti umani e disperazione, che come per naturale richiamo, finiscono col convergere in quello che risulta essere un comune punto di raccolta del dolore e della rassegnazione. Tanti volti segnati dalla sconfitta, tante coscienze piegate all'ingiustizia, all'opportunismo. Esseri umani messi alle strette; individualmente troppo deboli ed indifesi per non tendere a formare sempre nuovi nuclei sociali, ma sempre alle prese con esigenze individualistiche che indeboliscono il gruppo. Sedicenti civli che all'occorenza si animalizzano.
C'è molto poco ottimismo nei film di Haneke ed anche in questo abbondano i momenti duri, buii, cattivi. Le ambientazioni agresti, perennemente immerse nella nebbia umida ed oppressiva, lasciate alla mercè del "silenzio del nulla", rese ancora più povere dall'assenza di qualsiasi forma di commento musicale, possono facilmente ricondurre a quella sensazione di "oblio emozionale", di disorientamento, che trasuda anche dai fotogrammi dello "Stalker" di Tarkovsky. La fotografia plumbea ed opprimente al limite dell'insopportabilità non risparmia nessuno e sin dalle primissime battute mette in guardia circa l'antifona del messaggio. L'interpretazione dei protagonisti, pur sempre alle prese con l'improbabile psicologia dei personaggi del regista, alla fine appare credibile e convincente. Se mai la nota dolente sta nel manierismo che sembra essersi impossessato del regista al punto da appesantirne lo stile e vanificarne, in parte, gli sforzi. Nel complesso trovo comunque che sia un discreto film.