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L'UOMO, LA DONNA E LA BESTIA - SPELL, DOLCE MATTATOIO regia di Alberto Cavallone

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Invia una mail all'autore del commento tylerdurden73     7½ / 10  31/07/2014 14:57:31Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Numerosi brandelli di vita quotidiana punteggiano il film di Alberto Cavallone, regista dedito al weird e al surreale che qui, con piglio destabilizzante, porta alla ribalta piccoli e grandi vizi della provincia italiana, ovviamente nascosti dietro il consueto muro eretto sull'integrità morale tanta sbandierata e regolarmente demolita tra le mura domestiche (e non solo).
I vari episodi sono tenuti insieme da un affresco corale all'interno del quale si susseguono feste patronali di ogni tipo, con i vari protagonisti, nonostante la folla soffocante ad attorniarli, fondamentalmente lasciati soli con i loro segreti inconfessabili.
Ne esce un ritratto umano deprimente, in cui i maschi sono fallaci, viziosi e deboli, mentre le donne perennemente confinate in uno stato di insoddisfazione. Non è un caso che la prostituta del paese sia l'unica a seguire serenamente la propria indole, essendo svincolata al di fuori dell'alcova da qualsiasi contratto con il mondo maschile.
Il sesso è elemento centrale, ostentato attraverso nudi e numerose scene di sesso, in cui però l'atto fisico giunge sempre come malsano, frutto di fantasie deviate oppure seguendo impulsi per nulla convenzionali, dove l'istinto animalesco prende il sopravvento sulla dolcezza e il romanticismo.
Il regista porta alla luce la natura bestiale dell'uomo (l'inquadratura dell'occhio del gallo che ogni tanto fa capolino è significativa in questo senso) mentre i personaggi si affannano sullo schermo: c'è l'artista con la moglie folle, il contadino alcolizzato con consorte esasperata, il padre incestuoso, il poliziotto integerrimo solo a parole, il macellaio erotomane e tanti altri; insomma, un quadro tutt'altro che edificante in cui si introduce un elemento salvifico. Un ragazzo dal ruolo non specificato con chiarezza ma capace di catalizzare tutte le morbosità di quel mondo e farsene carico, sino a raggiungere un finale dalle forti sfumature iconoclaste dove il nostro assurge (in una sequenza d'impatto che farà contorcere gli stomaci più deboli) quasi a novello messia.
Opera molto simbolica, in cui l'onirico si interseca di continuo con realtà e fantasia; in questo senso Cavallone guarda a registi come Jodorowsky e Bunuel senza averne l'eleganza e la densità contenutistica, al tempo stesso però racconta con grande acume uno spaccato sociopolitico dell'epoca pur utilizzando metodi decisamente fuori dagli schemi.