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L'ODISSEA DI CHARLOT regia di Mack Sennett

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Godbluff2     6½ / 10  04/04/2023 16:38:13Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Bisogna considerare quanto "Tillie's Punctured Romance" (ignobile adattamento italiano del titolo-almeno uno dei tanti che nei decenni gli saranno stati affibbiati sfruttando il nome di Charlot- e qui nemmeno c'è, Charlot...) sia uno dei film chiave di quel biennio 1914-15, quando una manciata di lungometraggi (non i primi, ce ne sono fin dal 1906-07, in Italia c'era stato "Inferno" nel 1911) avrebbe una volta per tutte definito la "grammatica" del film, istituzionalizzandola e cementandola così come la conosciamo noi oggi; insieme a "Cabiria" di Pastore e ovviamente "Birth of a Nation" di Griffith (il padre del cinema americano che "è un po' come se fosse mio padre sa, dottore" cit.) anche questo primo, storico lungometraggio comico targato Keystone e Mack Sennett (alla regia) è un tassello che compone la definizione finale del "film" propriamente detto, per quanto sia il tassello più piccolo, meno importante e meno riuscito.
Si tratta in ogni caso del primo esperimento di lungometraggio comico e di film che tenta di divertire costruendo comunque una narrazione e una storia vere e proprie, coerenti e con uno sviluppo lineare ma che esula dalla pura frenesia attrattiva delle comiche in cortometraggi.
La sequenza di inquadrature e le tecniche di montaggio sono già utilizzate con intenti prettamente narrativi, con tutti i raccordi e gli stacchi che si stavano ormai istituzionalizzando messi lì, più o meno al posto giusto (ma non siamo ancora al punto del "montaggio narrativo" come lo intenderà Griffith di lì a un attimo) e c'è almeno un momento davvero memorabile, quello del cinema-nel-cinema, ormai una specialità di casa Keystone (erano libertà che potevano prendersi i comici, difficile vedere queste idee in altre tipologie di cinema, all'epoca), stavolta interpretato in modo differente: letteralmente assistiamo ad un film-nel-film e l'altro film è lo specchio del "nostro" film, nel quale si riflettono i personaggi subdoli e truffaldini di Chaplin e Mabel. La scena è inquadrata principalmente in tre modi: l'inquadratura-base in mezzo primo piano di Chaplin e Normand per mostrare le loro reazioni emotive al film che stanno guardando; l'inquadratura dal fondo della sala che inquadra i due e gli altri spettatori di spalle con lo schermo di fronte a loro e allo spettatore ed è l'inquadratura che pone il nostro sguardo nella ormai tipica "matrioska" dello spettatore che sta guardando un film all'interno del quale stanno guardando un altro film e lui ne sta guardando due uno dentro l'altro; infine la soggettiva degli spettatori-personaggi verso il film al quale stanno assistendo, che proietta noi, gli spettatori-spettatori, direttamente all'interno del film "altro". Probabilmente questo è il momento in cui si sono divertiti di più con il montaggio e le scelte di regia.
Il film poi costruisce modi di fare gag e comicità, nelle relazioni tra i personaggi e nella loro gestualità, che di fatto nascono (anche) con questo lungometraggio, trainate dall'inventiva comica e l'espressività geniale di Chaplin e Normand.
Detto questo, il coraggioso esperimento di primo lungometraggio comico si porta dietro innumerevoli difetti ed imperfezioni.
Il film-tratto da una commedia teatrale con protagonista la stessa Marie Dressler-è diviso in sei parti (sei "atti") e la prima metà secondo me funziona benissimo. Poi, nella seconda metà, comincia a pesare come un macigno la ripetitività ossessiva delle stesse formule comiche, delle poche idee e gag ripetute allo sfinimento, con una storia dallo sviluppo molto basilare e che certo non aiuta a tenere alta la curiosità dello spettatore (soprattutto di quello moderno) e che diventa sempre più povera di nuove invenzioni comiche che possano rivitalizzarne il ritmo; nella sesta e ultima parte il film "si cala le brache" e praticamente mette in scena una classica comica Keystone, avrebbe potuto essere un cortometraggio a se stante, pistolettate, frenetici inseguimenti, risse e ruzzoloni che, a quel punto e dopo 60-70 minuti di film, a dire il vero sanno più di stanchezza e banalità che di altro.
L'ultima scena è di nuovo una rottura della quarta parete che svela dichiaratamente la natura teatrale del film, con tanto di sipario e inchino dei tre attori protagonisti; sebbene poi ribadisca la sua natura di opera cinematografica-facendo sparire Chaplin e Normand grazie alle magie del montaggio-resta un finale ancorato al cinema "delle attrazioni" e per questo ancora non del tutto consono al cinema che stava nascendo, definitivamente, con Griffith.
Chaplin, non nei panni del suo Charlot, ma di quello di un infido profittatore qualsiasi, spalleggiato dall'altrettanto perfida ma poi redenta Mabel Normand, manca la regia del suo primo lungometraggio poiché, abbastanza ovviamente, Sennett ha voluto accreditarsi la regia del primo lungometraggio della sua Keystone, anche se non posso fare a meno di chiedermi cosa sarebbe successo con un più fantasioso, coraggioso e abile Chaplin dietro la macchina.
Lui e Normand comunque sono meravigliosi, in ogni caso.
"Tillie's Punctured Romance" non avrà un immediato seguito, in quanto lungometraggio comico: la Keystone non ripeterà l'esperimento del film sulla lunga distanza, Chaplin scriverà e dirigerà il suo primo lungometraggio (con ben diversi esiti) soltanto sette anni più tardi e in generale i lungometraggi comici e le commedie si affermeranno davvero solo negli anni '20, quando lo stesso Chaplin e Buster Keaton (loro due soprattutto) renderanno la comicità e il cinema comico qualcosa di infinitamente più ampio e ormai molto diverso dalle semplici comiche sennettiane.
Con tutte le sue imperfezioni, dunque, resta un film ardito e ambizioso per l'anno in cui è stato concepito, capace di seminare spunti interessanti ma soprattutto di fare da "punto di arrivo" al percorso della Keystone fino a quel momento.