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LA STRADA DELLA PAURA regia di Charles Chaplin

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amterme63     8 / 10  23/09/2008 23:51:27Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Il 1917 è un anno di svolta dal punto di vista artistico per Chaplin: comincia a percorrere la strada che lo porterà ai grandi lungometraggi. Il fine delle sue comiche diventa più ambizioso; si tratta ora di dare uno sguardo più approfondito all’ambiente in cui vive il vagabondo. Non si descrivono più singoli episodi simbolici ma si cerca di rappresentare la società nel suo complesso, nella sua dialettica. Quello che si vuole mettere in risalto è soprattutto l’ostilità di tale ambiente. La povera gente è martoriata dai delinquenti ma finanche dai poliziotti (Easy Street); la voglia di riscatto è accompagnata da disumanità e delusione (The Immigrant); non c’è da aspettarsi niente dalle classi più ricche (The Adventurer) e anche fra i poveri non c’è solidarietà (A Dog’s Life). Ci mancava poi la guerra a rendere difficile la vita alla gente! (Shoulder Arms).

Il sentimento predominante in queste comiche non è la spinta a ribellarsi o a risolvere una volta per tutte questo stato di cose. Ciò che prevale è invece una forma di complicità con lo spettatore povero, un modo per farlo sentire importante, di comunicare che vale qualcosa, che ha una dignità. Inoltre si dà anche qualche consiglio su come arrangiarsi in questo ambiente disagiato, cioè affidandosi all’abilità e all’astuzia. Chaplin semplicemente usa la sua arte per nobilitare il povero, grazie all’unica cosa di cui lo fa ricco, cioè i sentimenti. Tutto questo Chaplin lo ha creato per un suo istinto interiore, memore delle privazioni della sua infanzia, e anche perché ha capito di che pasta è fatto il suo pubblico. Infatti una volta ha dichiarato: “alla gente piace vedere i ricchi colpiti da disavventure di ogni genere e la ragione è che nove decimi dell’umanità è in condizioni di povertà e segretamente ritiene un privilegio ingiusto la ricchezza dell’altro decimo”. Anche se lui fa ormai parte della categoria dei ricchi, nel mondo universale dell’arte sente che questa ricchezza è ingiusta. La scissione fra vita e arte non poteva essere più netta.

La prima opera filmata in cui Chaplin inserisce fra le gag comiche degli spunti di riflessione sociale e politica è Easy Street (La strada della paura). Fin dalle prime inquadrature si rivela l’ambiente di estrema povertà e degrado in cui si svolge la storia. Il vagabondo è nella sua versione più derelitta, senza bastone (lo rivedremo così solo nel finale di Luci della città). Preso dalla fame e dalla disperazione entra nei locali della “Hope Mission” (I missionari della speranza). In maniera molto ironica vengono mostrati questi missionari come un campionario di gente buffa di vario genere che canta (belle inquadrature di bocche comiche che si aprono e si chiudono), tutti con il loro libriccino e la loro questua. Il vagabondo viene spinto a convertirsi non tanto dai bei discorsi untuosi, quanto dal cuore sincero di una bella bionda (Edna Purviance) e si autoconvince così a restituire la questua che aveva rubato di nascosto.

La scena si sposta a Easy Street, la scenografia più sgarruppata e malfamata mai creata da Chaplin: panni stesi, sporcizia, case cadenti. In questa via spadroneggia un energumeno violento e cattivo (Eric Campbell) che governa con il pugno di ferro. I poliziotti che tentano di imporre il loro ordine vengono letteralmente linciati e ridotti a brandelli. L’energumeno tiranneggia anche gl’impauriti abitanti di Easy Street, che devono sottostare al suo arbitrio. Ignaro di tutto ciò, il vagabondo passa davanti alla stazione di polizia dove campeggia il cartello di assunzione di personale. Ha fame e il lavoro gli fa gola. Deve però vincere la repulsione verso gli sbirri; infatti fa per entrare ma si ferma per istinto davanti a una divisa. Si fa forza e per sbarcare il lunario decidere di passare dall’altra parte della barricata. Come poliziotto è proprio una macchietta, con una divisa cadente e il suo passo strascicato. Guarda un po’, lo buttano allo sbaraglio proprio in Easy Street.
Il vagabondo/poliziotto incontra subito l’energumeno e un’inquadratura in campo lungo di spalle ci fa capire bene la sproporzione di forza fra i due. In questa situazione scoraggiante il vagabondo non può che ricorrere alle sue armi di astuzia e opportunismo. Seguono una serie di gag divertentissime con il vagabondo che cerca di telefonare ingannando l’energumeno sull’uso della cornetta. Ogni tentativo di farlo fuori con il manganello è vano e il vagabondo sta per essere appeso ad un lampione, quando ha il lampo di genio di inserire la testa dell’energumeno dentro il vetro del lampione aprendo la valvola del gas. E’ ancora una volta l’intelligenza che vince sulla forza bruta.

Questa vittoria dell’ordine costituito sul disordine violento non sembra cambiare molto le cose per gli abitanti di Easy Street. Sono impauriti dal nuovo padrone, il poliziotto, come lo erano dall’energumeno. Si vuole dire fra le righe che per i poveri la polizia è un potere coercitivo e violento come la delinquenza. Certo che però il nostro è un poliziotto solo di facciata e vuole dimostrare un modo alternativo di mantenere “l’ordine”. Infatti una povera donna malnutrita tenta di rubare qualcosa da mangiare. Il vagabondo/poliziotto la scopre e lei si mette a piangere. Invece di difendere la proprietà privata, il poliziotto sui generis si mette addirittura a rubare altro cibo per la derelitta. In quest’opera di redistribuzione il vagabondo/poliziotto è aiutato anche da Edna. Una didascalia recita “Charity” (Carità), come a voler dimostrare che questa è la vera carità, non quella a parole delle missioni religiose.

Il cortometraggio scade un po’ nel finale. L’energumeno riesce a fuggire e di nuovo si ripropone la lotta fra Davide e Golia, in una frenesia di inseguimenti. Alla fine il vagabondo riesce persino a salvare Edna dalle grinfie di un drogato, grazie alla droga stessa (l’ironia sempre presente a smorzare l’eroismo dei protagonisti). La scena finale mostra una visione utopica di Easy Street tutta rimessa a nuovo e con la gente tranquilla e serena che vive in pace; su tutto domina la “New Mission” (I nuovi missionari), una forma nuova di devozione.
Fra la criminalità e la repressione poliziesca, la soluzione proposta da Chaplin è il ricorso alla comprensione e al sentimento come recita la didascalia finale: “L’amore sorretto da forza, dolcezza e perdono porta pace e speranza a Easy Street”. E’ certamente una soluzione semplicistica, ma almeno si sensibilizzano le coscienze sul problema del degrado e della povertà dei bassi strati, che può portare a conseguenze pericolose su tutta la società, come suggeriscono due particolari: Easy Street incrocia con una strada che si chiama Via Maria Antonietta, mentre nella casa del drogato campeggia la foto di Zar Nicola II, l’ultimo zar di Russia. Sono dei rimandi piuttosto eloquenti.