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IL VANGELO SECONDO MATTEO regia di Pier Paolo Pasolini

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amterme63     8 / 10  21/03/2008 15:45:20Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
E’ un film fuori del comune e infatti alla fine della visione sono rimasto un po’ titubante. E’ un film molto statico, molto rigido; è in pratica una successione ininterrotta di primi piani o carrellate su volti, alternate a campi lunghi o panoramiche. Quasi non esiste dialogo e sembra di avere a che fare con marionette o con statue. C’è poca naturalezza o spontaneità. Ci si accorge di avere a che fare con qualcosa di molto stilizzato.
In compenso Pasolini ci offre una serie di immagini di luoghi e di ritratti umani assai caratterizzati. Bisogna perciò leggere nelle pieghe dei volti, negli sguardi, nelle rughe, nelle bocche sdentate e nell’alterigia dei potenti, nei paesaggi spogli, nell’essenzialità e povertà delle architetture, quello che non viene detto con le parole, l’espressione, il movimento.
Piano piano sono riuscito a capire il disegno che secondo me aveva Pasolini in testa. Ha voluto portare sullo schermo un testo scritto (il Vangelo di Matteo), rispettandolo alla lettera, a costo di sacrificare le esigenze del cinematografo. E’ un’operazione “purista”. Pasolini di suo ci ha messo la ricostruzione dell’ambiente sociale in cui Gesù ha operato e ha cercato più che altro di metterne in rilievo il messaggio. Le sue parole sono quello che conta. E sono parole che pesano come macigni, è un messaggio rivoluzionario contro le ipocrisie e contro le ricchezze. Si tratta di un appoggio etico incondizionato per chi è povero, umile, reietto e tenuto ai margini della società. Pasolini esalta il senso di questo messaggio circondando Gesù di persone che più comuni non potrebbero essere. E’ il lato sociale quello che conta e l’aspetto umano e ambientale delle immagini lo suggerisce molto bene. Il lato intimista e sentimentale è completamente tralasciato. Le figure non hanno carattere o individualità. Solo Gesù giocoforza fa trapelare un carattere focoso, determinato, a volte irascibile e severo, consapevole della brutta fine che lo aspetta ma deciso ad andare fino in fondo e a lasciare traccia del suo passaggio sulla Terra. Anche lui comunque è trattato in maniera distaccata, per far sì che lo spettatore non si indentifichi e giudichi in maniera oggettiva quello che fa e quello che dice. Tra l’altro le fasi della Passione sono girate con la macchina a spalla mimetizzata da persona del pubblico e quindi il tutto è visto “dall’esterno”.
Con quest’opera Pasolini ha voluto senz’altro dare tutto il suo appoggio all’operazione tentata da Giovanni XXIII di riportare la Chiesa alla purezza, semplicità e povertà predicata da Gesù, indicendo il Concilio Vaticano II (il periodo è quello). Ci troviamo di nuovo davanti ad un’opera originale e profondamente religiosa, girata da un ateo. Ma forse sono proprio gli atei quelli che meglio riescono a penetrare nell’essenza della fede religiosa e che ne capiscono fino in fondo il significato e le implicazioni.
Con questa premessa in testa si perdona a Pasolini la stilizzazione e anzi si rimane ancora più affascinati dalla novità del suo senso estetico. Mai nessuno prima aveva dato così tanto rilievo a volti umani lavorati dalla vita. Anche secondo me questa è la vera “bellezza” umana. Il “bello” paesaggistico di Pasolini annovera gli immancabili Sassi di Matera, la Tuscia (Monterano e la valle del Mignone), gli Altipiani di Castelluccio, le Murge, l’interno della Sicilia e della Sardegna. Le musiche sono sublimi. La parte del leone la fa il compositore che meglio di tutti ha saputo mettere il divino in musica, cioè Johann Sebastian Bach; ma anche la musica africana rivela tutta la sua carica spirituale.