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IL VANGELO SECONDO MATTEO regia di Pier Paolo Pasolini

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Invia una mail all'autore del commento montypython     9 / 10  02/09/2005 12:00:07Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Resaurata di recente, la pellicola del capolavoro di Pier Paolo Pasolini torna nella sale in contemporanea con il film di Mel Gibson, la passione di Cristo: coincidenza, o ottima manovra di concorrenza con il tanto discusso film di Gibson? Sia quel che sia, l’occasione di rivedere una pietra miliare del cinema sullo schermo è unica, tantopiù l’occasione di poter mettere a confronto i due film, la passione e il Vangelo secondo Matteo.
Se vedendo la passione qualche dubbio sulla sua presunta bellezza rimane insoluto, visionando il Vangelo di Pasolini questi scompaiono del tutto, certo quello di Gibson è incentrato unicamente sulla passione e quello di Pasolini narra di un intero Vangelo, ma ciò non toglie la possibilità di poter fare un confonto tra le due visioni del Cristo e della sua vita da parte di questi autori.
Per evitare confusione e per non dilungarsi in sproloqui sul film di Gibson (sarebbe pleonastico, oltre che ripetitivo, visto le nuemerose recensioni su questo film) mi soffermerò sull’analisi del Vangelo secondo Matteo di Pasolini: in primo luogo salta subito agli occhi una scelta forte del regista, il bianco e nero; sebbene il colore esistesse già da tempo, Pasolini sceglie il bianco e nero da una parte per neutralizzare il film, nel senso che non vuole, attraverso il colore, enfatizzare o tantomeno impressionare gli spettatori (il suo scopo è un altro), dall’altra per sfruttare a pieno le sfumature di luce e di ombre e il chiaroscuro che la scala di grigio offre, con un risultato a dir poco spettacolare.
La rinuncia al colore è funzionale a quello che vuole essere il film: una riflessione;
Pasolini, non cristiano, si interroga sulla verità delle parole del Cristo, ricercandone il senso più profondo, indagando sui suoi insegnamenti e sulle sue azioni; non a caso il film si sviluppa attorno a dubbi e domande continue (tutte rigorosamente inerenti al teso evangelico di Matteo) che pur avendo risposta da parte del Cristo, queste continuano lo stesso a rimenere tali: esse sono le domande di Pasolini, le domande di tutti noi e non possono trovare una semplice risposta nelle parole di Gesù. Perché il piano religioso è stato spostato su quello filosofico e la filosofia non vive di certezze ma di continue domande: ecco che anche l’ambiente è metafisico, anacronistico, fuoriluogo (al contrario di Gibson che sfrutta lo stesso scenario, quello di Matera, esclusivamente come contorno di ricostruzione storica). Il tema è molto sentito da Pasolini che, da non credente, si sforza di comprendere il significato più recondito delle parole del Cristo e la loro verità, mentre Gibson, credente, ha già le sue certezze in materia, ed ecco che il suo film si trasforma nella mera rappresentazione del fatto, dato per scontato, fatto che per altro viene inquinato dalla sua enorme fede cottravvenendo all’obbiettività che lui stesso si era preposta. Obbiettività che in Pasolini è sempre presente non solo per il rigoroso rispetto per il testo di Matteo, ma anche per la volontà di mettere in risalto il problema per poi lasciare agli altri l’occasione di trovarne la soluzione.Il vangelo secondo Matteo, inoltre, è incentrata moltissimo sui visi e sugli sguardi mediante primissimi piani, fin dall’inizio (emblematica e bellissima in questo senso, la scena iniziale dove Giuseppe scopre la maternità di Maria, senza dialoghi, giocata tutta sulla complicità degli sguardi sui sorrisi e sul’espressione triste delle labbra) e per tutto il film si ha un susseguirsi di una galleria straordinaria di visi, di tutti i tipi, come tanti ritratti di altrettanti uomini, e questi siamo noi che poniamo i nostri dubbi al Cristo, volti in cui l’umanità è fortissima pur essendo questi sguardi fissi, primi piani statici che nulla mostrano se non sé stessi.L’enfatizzazione di Gibson, l’esasperazione della verità teologica disumanizza perfino il Cristo, che appare come una statua insofferente, in netta contraposizione con lo scopo del regista, quello di far vedere un Cristo umano; ma è molto più umano il Cristo di Pasolini, è più umana la sua lacrima appena accennata quando viene a conoscenza della morte del Battista, o quando si reca al monte degli ulivi, è più umano il suo sguardo quasi appesantito dalla consapevolezza della sua morte ( come in molte delle raffigurazioni di Donatello, vedi ad esempio, il profeta Geremia o il crocifisso bronzeo di Padova), è più umano il suo sorriso malinconico. È più umana la sua sofferenza interiore o il suo urlo di dolore quando gli vengono conficcati i chiodi nelle mani, quella di Pasolini è una umanità psicologica più che fisica: commovente il pianto di Pietro, quando scopre di aver rinnegato Gesù, così come un po’ di pietà suscita il pentimento tardivo di Giuda, che si accascia a terra disperato, in lacrime, consapevole della gravità del suo errore, una consapevolezza talmente pesante da risulatre insostenibile, tanto da spingerlo al suicidio (ed è forse questa la vera colpa di Giuda quelloa di aver rinunciato al dono più grande, la vita); al contrario Gibson non cura minimamente questo aspetto molto più umano e spiega il pentimento di giuda come una qualche punizione divina che lo portano quasi alla pazzia (i bambini quasi indemoniati che lo inseguono picchiandolo e la visione della carcassa dell’asino).
Ma è al momento della passione che le differenze più grandi si notano: il Cristo di Pasolini non appare con una goccia di sangue, al contario di quello di Gibson che ne appare totalmente ricoperto, eppure appare soffrente come se avesse dovuto sopportare chissà quali violenze, che si ha ricevuto, ma sono quelle psicologiche che più lo fanno soffrire e lo appesantiscono più della sua croce. Il volto appare cupo e sofferente come non lo era mai stato creando una umanità e una commozione incredibili: nella passione di Pasolini tutto avviene nella più completa indifferenza e semplicità: niente sicroni enfatizzanti tra musica e immagini, niente folla in preda al panico, soffocante, ma un placido corteo immerso in una atmosfera di riflessione e pentimeno quasi sacra; la tragedia si consuma tutta nello spasmodico affannarsi disperato di Maria (interpretata splendidamnete dalla madre stessa di Pasolini, a testimonanzia di quanto il regista si sentisse vicino e estremamente legato al tema), i cui urli sono soffocati dalla bellissima musica di Bacalov, e nell’urlo secco e più sofferente di qualsiasi altro urlo del Cristo che butatta fuori tutta la poca aria rimasta nei polmoni spira. E così la deposizione dalla croce appare come in un quadro del quattrocento, in cui sembra che tutti siano in posa attoniti, pietrificati di fronte alla morte del cristo, che paradossalmente appare disarticolato negli arti, non essendo ancora giunto il rigor mortis . Il Cristus Patiens di Gibson, perde la sua umanità nel momento in cui viene messo in croce, perché ormai è come un crocifisso di legno, dalle parvenze gotiche, troppo esasperate, per essere vere, troppo enfatizzate per essere obbiettive, ed è qui che il film di Gibson perde ogni suo significato, con il risultato di un film che non è né carne né pesce, ma semplicemente solo un brutto film, d’altra parte c’è più passione nel sudore accennato del Cristo di Pasolini, che nei litri di sangue utilizzati da Gibson.

frine  31/10/2005 01:27:29Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ottimo commento per quanto riguarda Pasolini. Purtroppo non sono ancora riuscita a vedere il film di Gibson (o meglio: ne ho visto metà, poi il DVD si è rotto: un segno?)
Hugolino  31/10/2005 17:42:43Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
ooooooooh, ma non lo leggera mai nessuno questo commento è troppo lungo... non ne ho voglia...
frine  01/11/2005 02:18:05Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Io l'ho letto:-)
frine  19/04/2006 01:28:29Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Ora ho visto anche il film di Gibson e concordo pienamente con te:-)