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2001 ODISSEA NELLO SPAZIO regia di Stanley Kubrick

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Giorgione     10 / 10  07/05/2007 16:01:24 » Rispondi
E' proprio vero ciò che viene raffigurato all'inizio del film: un lontano giorno un nostro antenato, uno qualunque, ha avuto l'idea: che un osso può essere utilizzato per colpire qualcosa. Deve essere andata proprio così, non c'è altra spiegazione. Uno, magari un po' più sveglio e curioso degli altri, ha fatto per primo questo collegamento che a noi sembra ovvio ma che allora era rivoluzionario: è come quando da bambini ci rendiamo conto, improvvisamente, che la figura che vediamo allo specchio siamo noi stessi.
Inizia allora il cammino dell'uomo verso la conquista del mondo, lungo una strada che conduce, nei millenni, attraverso varie tappe e alla fine al desiderio di dominare lo spazio infinito.
Kubrick ha la geniale intuizione di raffigurare un nostro sentimento profondo, l'anelito inarrestabile alla conquista del creato intorno a noi, come qualcosa di materiale: il monolite nero. Periodicamente questo misterioso oggetto ritorna e spinge l'umanità a nuove conquiste, come se indicasse la via per la feliciità: e così l'uomo, con la violenza, accumula senza sosta ricchezze, terre e conoscenze.
Ma qualcosa non torna. L'obiettivo, la felicità, non arriva, è come una fata Morgana che si vede di lontano ma mai viene raggiunta. Fino ai confini dell'universo viene cercata dall'uomo, che ormai si trova nel pieno dominio del mondo esterno. L'uomo ormai finge di credere che la tecnica, che dovrebbe essere uno strumento per raggiungere il fine, è essa stessa il fine.
E il tempo passa, l'uomo invecchia e non può farsene nulla della sua conoscenza e delle sue ricchezze: anzi, al momento culminante è lasciato solo dalla tecnica. L'ultima ora è arrivata, per l'uomo sul letto di morte, l'ora in cui ognuno di noi non può essere che solo. Già ricompare il monolite nero: questa volta esso non incita il vecchio uomo ad una nuova partenza verso chiissà dove, ma ad un ritorno, verso la terra, l'infanzia, la sfera interiore.
E' questo, secondo me, il senso: il significato dell'esistenza non sta fuori, ma dentro di noi. Non sta nell'illusoria conquista di nuovi oggetti e nuovi mondi, ma nella comprensione di noi stessi e delle domande fondamentali che dal nostro interno scaturiscono: chi siamo, dove andiamo.